domenica 9 gennaio 2011

MORTI PER AMIANTO, IL PIEMONTE DETIENE IL RECORD


Il Piemonte è la regione d’Italia che ha il più alto numero di morti causati da mesoteliomi, i tumori associati all’inalazione di fibre di amianto. Il pensiero va all’istante al disastro di Casale Monferrato e alla silenziosa strage nel tempo di lavoratori Eternit. Ovvio e tutt’altro che sorprendente. Ma non è così: a scorrere le tabelle e i capitoli del «Terzo rapporto» Ispesl e del Registro nazionale dei mesoteliomi, nella scheda dedicata al Piemonte spicca l’edilizia come il settore con più morti «sicuramente attribuibili ad esposizione professionale»: l’8,5 per cento del totale.

Il settore industriale di produzione di manufatti con cemento-amianto è stato superato: conta «solo» il 6 per cento dei decessi. La tendenza è nazionale ma in Piemonte rappresenta qualcosa di più: è il segno di una svolta. L’Eternit di Casale è chiusa dal 1986, dopo il fallimento, le altre aziende del settore, fra cui la Sia di Grugliasco con più di cento morti per esposizione all’amianto, hanno comunque chiuso i battenti o modificato le loro produzioni dopo la legge del 1992. Vero che a Casale o nell’area dell’Amiantifera di Balangero, la più grande cava europea di crisotilo (l’amianto bianco), si continua a morire, ma sempre più per esposizione ambientale.

Dei 2748 decessi registrati in Piemonte per mesoteliomi, dal 1990 al 30 giugno 2008, 118 hanno colpito famigliari di lavoratori di aziende che utilizzavano l’amianto, in particolare mogli che lavavano le tute di lavoro dei mariti; a Balangero è morto giovanissimo anche il figlio del custode della cava. Altro indicatore: i 144 morti per «esposizione ambientale», i vicini di casa dell’Eternit, della Sia, dell’Amiantifera, della Saca di Cavagnolo. E altri: «Stiamo verificando anche alcuni casi di dipendenti delle Poste», ammette Guariniello.

La salute dei lavoratori edili è diventata la più a rischio amianto su tutto il territorio nazionale per l’aspetto inquietante di come si bonificano i materiali che lo contengono ristrutturando interi palazzi e singoli appartamenti. Degli 822 casi di morte di lavoratori edili segnalati dal ReNaM (il Registro nazionale dei mesoteliomi) nel decennio 1993-2004, 53 si verificarono nel primo biennio, dovuti ancora al taglio a mano di tubazioni contenenti amianto, ma nell’ultimo i casi sono saliti a 361, il 16,1% del totale.

Il processo di «dismissione dell’amianto» è stato l’argomento di un recente rapporto del «Gruppo di studio» composto da cinque specialisti fra cui il torinese Benedetto Terracini, caposcuola della moderna epidemiologia in Italia. Il dossier lancia l’allarme: «L’uso industriale diretto dell’amianto è cessato completamente nel 1994. Continua quello indiretto del minerale ancora installato in edifici ed impianti, in matrice sia compatta sia friabile. Quest’ultima caratteristica lo rende potenzialmente più pericoloso per la maggiore facilità di diffusione delle fibre nell’aria e per la sua presenza tuttora rilevante nelle coibentazioni ancora in opera. Soprattutto in grandi impianti industriali e termici a servizio di processi produttivi, navi e traghetti, ma anche in edifici pubblici o di uso pubblico, come scuole, ospedali, teatri, palestre, grandi magazzini, chiese».

Il rapporto dà pure conto della «diffusa utilizzazione indiretta dell’amianto in matrice compatta, per lo più cementizia, come costituente di coperture, pareti, serbatoi, tubi per l’adduzione di acqua potabile, canali di scarico fognario, canne fumarie, pannelli e pavimentazioni miscelate con il vinile».

Anche questo dossier indica il Piemonte come regione fortemente a rischio con 5,56 casi di mesoteliomi ogni 100 mila abitanti di sesso maschile, superato appena dal Friuli (6,28) e più nettamente dalla Liguria: 14,13 casi per centomila abitanti. Per le donne, il Piemonte riacquista il triste primato italiano anche in proporzione alla popolazione: 3,18 decessi ogni 100 mila residenti.


LaStampa

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