giovedì 30 giugno 2011

TRAGEDIA, ANZIANO SPARA ALLA MOGLIE E SI UCCIDE


COLLEGNO (TORINO) - Un pensionato di 84 anni, Santo Guglielmino, ieri si è barricato dentro la sua casa in viale Partigiani 52 a Collegno insieme con la convivente di 85 anni. In preda a un raptus, imprecando contro tutti, ha minacciato di sparare ai passanti. Per tutto il giorno ha tenuto sotto scacco decine di carabinieri di fronte casa sua. Poi, a tarda notte, dopo numerosi e inutili tentativi dei carabinieri del Gis di entrare nell’alloggio, l’uomo ha sparato tre colpi alla donna e s’è ucciso.

Una rabbia cieca contro tutto e tutti finita in tragedia. «Tutti ce l’hanno con me». L’aveva spiegato così Santo Guglielmino, pensionato di 84 anni, al colonnello Antonio De Vita il perché della sua rabbia. Dell’esplosione di follia che lo ha portato ad uccidere la compagna e ad uccidersi. Un colpo al cuore per entrambi, sul letto, nella casa buia. L’epilogo, intorno a mezzanotte.

Prima, però, Guglielmino ha sparato contro le forze dell’ordine e ha tenuto in scacco, per un giorno intero, decine di carabinieri davanti a casa, in viale Partigiani 52 a Collegno. Accanto, la convivente, Rosa Colusso, 85 anni, invalida e malata, come lui infuriata contro il mondo intero.

La vicenda ha avuto inizio alle 8 di ieri mattina. I vicini vedono Guglielmino scagliare dal balcone al terzo piano un po’ di tutto. Imprecava e buttava cibo nel giardino e nel cortile delle case Atc. «Gli ho detto di smetterla - racconta Giancarlo Vallieri - e lui mi ha imprecato contro. Così ho chiamato i vigili». La tragedia nasce in quegli istanti nel quartiere Oltre Dora. In pochi minuti arrivano i vigili. «L'ho convinto ad aprirmi la porta - spiega la vicecommissaria Carmen Mazzone -, ma ripeteva che non ne poteva più, che avrebbe ammazzato tutti, che avrebbe fatto saltare in aria lo stabile». Mentre continua a parlargli, l'anziano si avvicina al tavolo e prende una pistola.

«Quando ho visto l’arma spianata ho gridato ai colleghi di allontanarsi - ricorda la vigilessa -. E lui si è di nuovo barricato». I civich chiedono l’intervento dei carabinieri. Ma quando sente bussare alla porta i militari, Guglielmino spara un colpo che attraversa la sua porta e si conficca in quella del vicino. Quasi un avvertimento: da qui non esco e voi non entrate. Ed è ciò che l’uomo ripete per ore. Alle 11 arriva il colonnello De Vita che inizia una lunghissima trattativa. A scatenare la rabbia cieca dell’anziano deve essere stato un guasto che ha fatto saltare la corrente elettrica nella notte, mandando a male tutto il contenuto del frigo.

Non solo. «Ce l’ha con tutti - dice ad un certo punto della giornata un militare - e le ragioni vanno da multe di anni fa alla pensione, da Berlusconi a Craxi». Una sequela di eventi veri e immaginari che lo tormentano. Un rancore raccontato per ore al cellulare del colonnello, che cercava di portarlo alla resa. «Ridatemi la corrente e mi arrendo» dice a De Vita. E in poco tempo arrivano i tecnici Enel a riattivare l’energia elettrica. Ma l’arma non la cede. Un’arma che non risulta registrata.

Così la corrente viene tolta di nuovo. Intanto i carabinieri chiedono l'intervento dei reparti speciali del Gis di Livorno, per tentare un'incursione. Gli uomini studiano la piantina, mentre il pm Enrico Arnaldi di Balme prosegue la trattativa. «Voglio Emilio Fede, devo raccontargli tutto» chiede Guglielmino. Una vita di rospi ingoiati, veri o presunti, quella del pensionato: dal matrimonio fallito e i figli lasciati nella nativa Catania, la convivente sulla sedia a rotelle e costretta alla dialisi, le bollette dell’Atc non pagate, il cibo marcito nel frigo.

In serata l’assedio prosegue in cerca di una mediazione. Fino ai colpi di pistola. Due Guglielmino li spara alla compagna. Poi appicca il fuoco ai documenti che lo assillano. I vicini urlano. I vigili del fuoco sono pronti per intervenire e i Gis ad introdursi, quando si sentono altri tre colpi. Dall’alloggio non escono più urla, ma solo fumo. La mezzanotte è passata da pochi minuti. I militari del Gis entrano dal balcone e scoprono i due corpi senza vita uno accanto all’altro nel letto. L’incendio viene subito domato. Fuori, i vicini applaudono.


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mercoledì 29 giugno 2011

GUASTO ALLA CENTRALE DI OSSIGENO, MUORE IN OSPEDALE A 9 ANNI


TORINO - Per i medici del Regina Margherita, ospedale infantile di Torino, è ancora completamente avvolto nel mistero quello che è successo nel reparto rianimazione dove un bimbo venezuelano che avrebbe compiuto dieci anni ad agosto è morto perché all’improvviso l’ossigeno a cui era collegato ha smesso di funzionare. Il bimbo, malato di leucemia, era ricoverato da venti giorni in rianimazione dove era assistito totalmente dalle macchine: respirava solo grazie all’ossigeno che gli veniva dato artificialmente. Ossigeno che, all’improvviso, ha smesso di essere erogato.

Non si capisce ancora che cosa sia successo: l’unica certezza è che in questi giorni in ospedale ci sono dei lavori di manutenzione che riguardano proprio l’impianto di erogazione dell’ossigeno. Quando è accaduta la tragedia altri bambini erano in sala operatoria, anche loro legati all’ossigeno, ma le loro condizioni erano meno gravi e quindi è stato possibile salvarli. Per il piccolo venezuelano, invece, non c’è stato nulla da fare.

«È un episodio grave, su cui va fatta una verifica immediata, per questo ho chiesto l’intervento dei carabinieri del Nas in servizio presso la Commissione d’inchiesta» ha annunciato Ignazio Marino, presidente della Commissione d’inchiesta sul Servizio Sanitario Nazionale. «La Commissione – ha aggiunto - necessita di dettagliate spiegazioni sul protocollo che è stato usato per garantire la regolare distribuzione dei gas durante la manutenzione delle attrezzature e sul rispetto delle procedure di sicurezza. L’intento di questa istruttoria è appurare le cause di quanto accaduto e non stimolare un clima di caccia alle streghe intorno all’ospedale e ai medici. Domani riferirò i risultati dell’istruttoria ai capigruppo della Commissione, con cui valuteremo se aprire formalmente una inchiesta».


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martedì 28 giugno 2011

NESSUNA RESA PER I NO TAV: "CI RIPRENDEREMO LA MADDALENA"


"Ci riprenderemo La Maddalena": dice Alberto Perino, il leader del movimento NoTav. Ed è la parola d'ordine di tutti gli attivisti del Movimento. "Abbiamo perso una battaglia, non la guerra e - aggiunge Perino - torneremo alla Maddalena", dove per mesi gli attivisti No Tav hanno mantenuto un presidio per opporsi alla costruzione della linea ferroviaria ad alta velocità Torino-Lione.

Il ritornello sul ritorno alla Maddalena è cominciato ieri mattina, dopo la "resa" alle forze dell'ordine, è stato ribadito ieri notte all'assemblea No Tav di Bussoleno (Torino), alla quale hanno partecipato centinaia di persone, ed è stato ripetuto ancora oggi. "Certo che ci riprenderemo la Maddalena, è la nostra terra", dice Nicoletta Dosio, insegnante in pensione, da sempre in prima fila nella lotta No Tav. Lei rimase ferita negli scontri con la polizia nell'autunno del 2005 al Seghino di Mompantero sopra Susa, poche settimane prima dei giorni 'caldi' di Venaus.

"Il nostro movimento continua a lottare, con grande determinazione e dispendio di energie, - aggiunge - anche se molti non vogliono ammetterlo. La nostra è una battaglia che dura da vent'anni, in difesa della nostra terra, delle cose belle, contro gli sperperi di denaro per opere inutili e dannose. Qualcuno ha detto che ieri la nostra resistenza è stata debole, ma cosa potevamo fare di più, contro quell'esercito di poliziotti e carabinieri. Siamo rimasti aggrappati alle ringhiere lungo l'autostrada rischiando la vita mentre qualcuno agitava la gru con l'enorma cesoia meccanica a pochi centimetri da noi...".

Questa sera il movimento No Tav tornerà in piazza con una fiaccolata a Susa; inoltre ha in cantiere una manifestazione nazionale domenica prossima, da Susa a Chiomonte.


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lunedì 27 giugno 2011

ASILI NIENTE TAGLI ALLA MENSA, SI RIPARTE IL 5 SETTEMBRE


TORINO - I cancelli degli asili e delle materne si apriranno il 5 settembre, una settimana prima rispetto al via dell’anno scolastico per elementari e medie. La scelta di non partire in contemporanea è stata presa dal neo assessore alle Risorse Educative, Maria Grazia Pellerino, dopo essersi consultata con l’assessore al Bilancio, Gianguido Passoni.

La passata amministrazione non aveva preso nessuna decisione, lasciando quindi tutto aperto. Una settimana in meno vuol dire un sensibile risparmio: circa 400 mila euro, tra personale e servizio di mensa. Ma vuol dire anche disagi per le famiglie, soprattutto quelle dove entrambi i genitori lavorano. Così il neo assessore ha deciso per l’apertura al 5 settembre: «Non vogliamo penalizzare i servizi che rientrano in generale nel sistema del welfare che il Comune offre ai cittadini — spiega Pellerino — la situazione di Bilancio impone rigore, ma contiamo di recuperare risorse in altro modo, riorganizzando il servizio. Non vogliamo incidere sulle famiglie».

L’intenzione dell’assessore Pellerino e di tenere d’occhio i conti delle scuole in capo al Comune conservando comunque un servizio, composto da 83 scuole d’infanzia e 49 nidi, di qualità. Uno standard riconosciuto anche dalle classifiche nazionali.

Una delle proposte per risparmiare delle risorse sarà quella del pasto a consumo attraverso un nuovo sistema, quello del badge, di cui sarà dotato ogni bambino. In questo modo non ci saranno sprechi e l’amministrazione conta, alla fine del percorso, di risparmiare fondi. E in attesa della gara per mettere al bando il servizio di refezione l’assessore vorrebbe anche rivedere i menu, privilegiando il chilometro zero e i piatti di stagione, offrendo così ai bambini e ai ragazzi, non solo degli asili e delle materne, prodotti della zona con una filiera corta.

Una questione che sarà affrontata nelle prossime settimane, insieme al problema del riassorbimento nelle sezioni delle scuole materne di circa 500 bambini. Un extra rispetto al normale andamento degli iscritti figlio di una crescita anomala della natalità. La discussione con i sindacati è partita. L’assessorato non ha ancora in mano la situazione divisa circoscrizione per circoscrizione, ma prevede che per risolvere la situazione si dovrà inserire, in media, un bambino in più per ogni sezione delle materne. Da un massimo di 25 per classe ad un massimo di 26. Cosa che fa storcere il naso al sindacato, ma la trattativa è aperta.


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THYSSEN, 16 OPERAI ANCORA IN CASSA IN PRESIDIO DAVANTI ALLA REGIONE


TORINO - Presidio permanente fino a mercoledì davanti al Palazzo della Giunta regionale in piazza Castello degli operai della Thyssen ai quali il prossimo 30 giugno scadrà la cassa integrazione in deroga. Si tratta di 16 lavoratori, alcuni dei quali costituitisi parte civile nel processo che ha visto la condanna dei vertici della multinazionale tedesca per il rogo del dicembre 2007, che ancora non sono stati ricollocati e per i quali per mercoledì pomeriggio all'assessorato regionale Lavoro è stato fissato un tavolo per chiedere una ulteriore proroga della cassa.

A darne notizia è una nota degli stessi lavoratori che sottolineano: "Chiediamo agli enti locali di garantire la ricollocazione di tutti i lavoratori e in particolare al Comune di Torino per concretizzare la promessa del rilancio del capoluogo piemontese quale 'capitale del lavoro' fatta dal sindaco, Piero Fassino, partendo proprio dalla ricollocazione degli operai Thyssen".

"Non chiediamo altro che il rispetto dell'accordo siglato con l'azienda, ovvero che ci venga data la possibilità di continuare a lavorare": ha detto Antonio Boccuzzi, deputato del Pd, che da questa mattina è presente al presidio permanente degli operai. "Ai 16 lavoratori della Thyssen è arrivata la lettera di licenziamento - spiega Boccuzzi - per cui dal 30 giugno saranno costretti alla mobilità senza che sia loro concessa la cassa integrazione in deroga e, soprattutto, senza che sia loro garantita quella ricollocazione lavorativa che era prevista nell'accordo di chiusura dello stabilimento torinese. Chiediamo alla Regione un intervento immediato, affinché i patti vengano rispettati e con essi la dignità dei lavoratori".


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LA RIPRESA DURA POCO, IL MATTONE FRENA DINUOVO


I primi sei mesi dell’anno scorso avevano infuso non poche speranze: dopo un periodo nerissimo, il mattone aveva recuperato vigore. La ripresa sembrava dietro l’angolo, complice l’incidenza dell’edilizia sul Pil italiano. Non ci credete? Ecco qualche dato: tra il 1998 e il 2007 il settore è cresciuto del 31 per cento e il suo peso sull’economia nazionale è passato dall’8 al 10 per cento. Ecco perché i timidi segnali del primo semestre del 2010 - più 1,3 per cento di compravendite in Provincia, e Torino addirittura a più 2,7 per cento - avevano fatto pensare a una svolta capace di trainare tutto il resto, magari non portarci fuori dalla crisi, ma almeno allontanarci per bene.

L’illusione è durata sei mesi. I dati sulla seconda metà del 2010 - pubblicati dall’Agenzia del Territorio, ente che dipende dal ministero dell’Economia - parlano di una frenata, che forse non è il segno di un’inversione di tendenza, ma di sicuro la spia che il peggio non è ancora alle spalle, si risente ancora di troppi alti e bassi.

Da luglio a dicembre dello scorso anno il numero di transazioni in Provincia è rimasto pressoché stabile, ma a Torino è sceso del due per cento: da 5.852 a 5.441 compravendite immobiliari. Anche la quota del capoluogo sul totale del Torinese si è ridotta: nel primo semestre 2010 il 41,6 per cento delle compravendite di tutta la Provincia riguardava Torino; nei secondi sei mesi dell’anno si è scesi al 38,4.

Torino segna il passo. Succede in un quadro nazionale contrastante, ma soprattutto in controtendenza rispetto alla direzione di marcia intrapresa dalle altre grandi città. I principali capoluoghi di Regione crescono del 2,8 per cento, con punte del 7 a Milano e del 6 a Roma. Genova sale quasi del 5, le altre alla peggio restano stabili. Solo Firenze e Palermo viaggiano alla rovescia: meno 7 per cento. Dopo, però, c’è Torino, con il suo meno 1,9. «Si tratta, in ogni caso, di un dato tendenziale che, seppur negativo, risulta distante dalle variazioni ben peggiori registrate nei semestri del 2008 e del 2009», fa notare l’Agenzia del Territorio. È vero: negli anni della grande crisi le transazioni crollarono anche del 20 per cento. Le analisi di oggi, se non altro, certificano che l’epoca del grande tonfo si è chiusa definitivamente. Ora si tratta di uscire dalle secche.

I dati sulle transazioni confermano che i due terzi del mercato provinciale si concentrano nel capoluogo e nella cintura Nord-Ovest. Qui si annida il 65 per cento delle compravendite, con Torino e l’area Nord in lieve calo e l’area Ovest in fortissima espansione, più 14 per cento. Le altre zone raccolgono quote di mercato marginali, tra l’1,7 per cento della Val Sangone e il 4,95 del Canavese.

La Cintura Nord segna un po’ il passo ma mostra un generale aumento dei valori, più 7 per cento, trainato dalle performance di Chivasso, Leinì, Settimo e Volpiano, positivi sia nei valori che nell’andamento. Solo Caselle registra un crollo: meno 27 per cento di transazioni. «Complessivamente - spiega l’Agenzia - la macroarea sembrerebbe in ripresa nei comuni ben collegati alla viabilità provinciale e di buone dimensioni». Altro scenario nella cintura Ovest, che mostra una ripresa del mercato con quotazioni e compravendite positive, in particolare a Beinasco, Grugliasco, Nichelino, Orbassano e Venaria sono tutte positive. Capitolo a parte riguarda Collegno e Rivoli: bene le compravendite, giù i prezzi.


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TAV, PARTONO I LAVORI, IL GOVERNO: "ANDIAMO AVANTI"


Sulla Torino Lione il governo va avanti. Non saranno le proteste a fermare quella che per lo Stato è una priorità. Lo ha ribadito oggi il ministro delle infrastrutture e dei trasporti Altero Matteoli proprio mentre in Val di Susa l’avvio del primo cantiere della Tav è stato accompagnato da scontri con feriti tra polizia e no tav.

I lavori per la realizzazione del cantiere della Torino-Lione a Chiomonte sono partiti, ma appena terminati gli scontri in parecchie fabbriche della Val di Susa è stato proclamato uno sciopero immediato. L’intervento delle forze dell’ordine, difeso dal ministro dell’Interno Roberto Maroni («si sono comportate molto bene»), fa scoppiare la polemica politica, con l’opposizione che chiede che le infrastrutture non si costruiscano con il manganello.

«La Tav è considerata una priorità da parte dello Stato. I lavori inizieranno e andremo avanti», ha detto Matteoli, sottolineando che «lo Stato non può assolutamente arrendersi di fronte a dei protestatari». Anche il ministro del lavoro Maurizio Sacconi ritiene che «non debba essere consentito a una minoranza di fermare un’opera che tantissima parte del Paese e del territorio ritiene assolutamente necessaria, e che, se non realizzata, isolerebbe quel territorio e costituirebbe un fattore di ritardo per l’intero sviluppo nazionale». «Non possiamo permetterci - ha aggiunto Sacconi - il lusso di accettare il veto di minoranze. Questo vale per la Tav Torino-Lione, ma vale anche in generale. Bisogna anche difendere i diritti di una maggioranza di governare nella direzione che in una democrazia solo le maggioranze possono indicare».

Il blitz delle forze dell’ordine polizia per aprire il primo cantiere della Tav, a Chiomonte, non è però piaciuto ai partiti di opposizione che però sono concordi sulla necessità di non bloccare i cantieri (anche se si apre lo scontro nel centronisinistra su favorevoli e contrari all’altà velocità). Particolarmente duro il leader dell’Idv Antonio Di Pietro che chiede che le infrastrutture «non si costruiscano con il manganello». Per il leader del Pd Pier Luigi Bersani non vanno bloccati i cantieri ma l’azione delle forze di polizia deve essere «diretta a ridurre al massimo la portata degli incidenti». È invece inaccettabile per Vendola (Sel) la violenza contro il dissenso. Sta invece con i militari il leader dell’Udc Casini. Anche per Bocchino (Fli) lo Stato non deve indietreggiare quando le contestazioni si trasformano in violenza.

A sottolineare la necessità di quest’opera è stata oggi anche la leader degli industriali Emma Marcegaglia, che ha sollecitato l’avvio dei cantieri. «Un Paese civile e democratico come l’Italia non può permettersi la permanenza di un presidio come quello del "villaggio Maddalena" al di fuori della legalita». «La Tav - ha aggiunto - è un’opera fondamentale per lo sviluppo dell’Europa e un’infrastruttura importante per mantenere i collegamenti italiani a livello internazionale. Per questo è fondamentale che i cantieri partano entro fine mese per non perdere la quota di finanziamento europeo». Da Bruxelles anche il vice presidente della Commissione Ue Antonio Tajani ha messo in chiaro che non ci sono alternative: o si va avanti con i lavori oppure i finanziamenti Ue «si perdono». Dal ministero delle infrastrutture, però, filtra ottimismo sulle tre condizioni imposte dall’Ue per i finanziamenti: il ministro Matteoli, secondo fonti del dicastero, oggi ha risposto al commissario europeo ai trasporti Siim Kallas precisando che l’obiettivo dell’apertura del cantiere è stato raggiunto oggi; l’approvazione del progetto preliminare sarà portata al prossimo Cipe; infine, il nuovo accordo Italia-Francia potrebbe essere sottoscritto il 6 luglio.


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venerdì 24 giugno 2011

FOLLIA A MILANO, UCCIDE IL SUO AMICO E LA SORELLA, SUA "EX"


Doppio agghiacciante delitto a Milano. Le vittime sono due giovani, fratello e sorella, orfani di madre,. Da tre mesi, dopo aver litigato col padre, vivevano insieme in un appartamento in zona Baggio. Lei, Ilaria Palummieri, 21 anni, cameriera in un pub del centro, è stata soffocata, probabilmente con un sacchetto; lui, Gianluca Palummieri, 20 anni, impiegato in una compagnia di assicurazioni, assassinato con decine di coltellate. I corpi dei due sono stati trovati venerdì mattina: lei in casa, nuda e legata al letto, lui invece vicino a un cassonetto, a 14 chilometri di distanza, massacrato a coltellate. L'ex fidanzato della ragazza, Riccardo Bianchi, 21 anni, studente in un istituto tecnico, ancora sotto interrogatorio, ha fatto ammissioni su entrambi i delitti. Ma i contorni della vicenda, la dinamica del duplice delitto, i motivi che lo avrebbero spinto sono tuttora confusi.

DIFFERENTI VERSIONI - Le notizie sulle versioni del ragazzo si sono accavallate ora dopo ora. Avrebbe prima parlato di un gioco erotico finito male con la ragazza, con la quale aveva avuto una relazione non costante: il fratello di lei, rientrato a casa, avrebbe visto la scena e per questo sarebbe stato ucciso. Poi filtra un'altra ricostruzione. Il delitto infatti sarebbe avuto 24 ore prima di quanto prima supposto, ovvero la notte di mercoledì e non di giovedì. Riccardo e Gianluca sarebbero usciti insieme per recarsi in locali nella zona delle Colonne di San Lorenzo. Al rientro verso l'abitazione di Baggio, Riccardo avrebbe colpito e massacrato a coltellate l'amico., poi avrebbe nascosto il cadavere nel bagagliaio. Quindi sarebbe salito nell'abitazione dove si trovava Ilaria, l'avrebbe legata, violentata e infine soffocata con un sacchetto di plastica. Dopodiché sarebbe rimasto tutta la notte a vegliare il cadavere. Ufficialmente, la squadra mobile conferma soltanto che Riccardo Bianchi ha detto di aver trascorso la serata con la ragazza, parlando di una «versione che necessita approfondimenti». Per lui è stato nominato un difensore d’ufficio. L'agghiacciante vicenda sembra essere molto complicata e c'è il sospetto che il ragazzo possa essere stato aiutato da qualcuno a trasportare il corpo.

AL COMMISSARIATO CON I GENITORI - Il duplice delitto non è stato scoperto per il ritrovamento casuale dei cadaveri delle due giovani vittime o per una denuncia sulla loro scomparsa. La polizia ne è venuta a conoscenza soltanto perché è stato proprio il 21enne Riccardo a presentarsi al commissariato Bonola intorno alle 2.15 di venerdì mattina, accompagnato lì dai genitori. In stato fortemente confusionale, sosteneva di aver dormito nell'appartamento dei due amici e di essersi accorto a un certo punto che la ragazza era morta. Ma il suo suo racconto appariva pieno di lacune e di incongruenze. Gli investigatori hanno anche notato una ferita d'arma da taglio sulla gamba destra del giovane, che è stato quindi accompagnato in Questura. In mattinata è cominciato l'interrogatorio del pm Cecilia Vassena.

I RILIEVI SUL POSTO - Non era ancora l'alba di venerdì quando, intorno alle 3.30, gli agenti sono entrati nell'appartamento dei due fratelli in via Benozzo Gozzoli 160 a Baggio (periferia nord ovest di Milano, al confine con Cesano Boscone). Hanno trovato la ragazza morta sul letto, nuda e con i polsi legati alla testiera. Sul capo c'era un sacchetto di plastica, calzato sulla parte sommitale e ripiegato, come se fosse stato alzato dal volto, tra le braccia portate all'indietro sulla testa e legate all'altezza dei polsi. Il cadavere, disteso sul letto, presentava anche varie ecchimosi sia a livello degli arti superiori e inferiori sia a livello del collo.

IL CORPO DEL FRATELLO - Solo più tardi Riccardo Bianchi avrebbe indicato il luogo dove era stato abbandonato il corpo del fratello della fidanzata. Gli agenti della polizia di Milano sono infatti arrivati a Rho subito dopo i carabinieri allertati da alcuni addetti alla nettezza urbana: intorno alle 8 del mattino avevano scoperto un cadavere in via Tommaso D'Aquino. Il corpo del ragazzo, vestito con jeans e maglietta e avvolto in un copriletto, giaceva a fianco di un cassonetto dei rifiuti. Tra i luoghi del ritrovamento dei due corpi, Baggio e Rho, c'è una distanza di circa 14 chilometri, percorribile in auto in circa 20 minuti. Il medico legale ha constatato che il ragazzo era stato colpito con una ventina di coltellate all'addome e al petto.

LA FOTO RIVELATRICE -Una foto trovata nell'appartamento, nella quale le vittime e il giovane sospettato di essere l'assassino sono ritratti tutti insieme, a permettere il riconoscimento del corpo abbandonato a Rho. Nonostante l'assenza di documenti sul cadavere, la foto ha testimoniato in maniera evidente il legame tra i tre, e ha confermato quanto asserito nei primi confusi momenti il giovane. L'appartamento nel quale vivevano i due fratelli è stato posto sotto sequestro; all'interno sono state trovate tracce di sangue, ma non tali da far pensare che il delitto sia avvenuto lì. Sotto sequestro anche l'auto: aveva il bagagliaio completamente imbrattato di sangue ed era posteggiata sotto l'abitazione di via Pompeo Marchesi a Milano, dove il giovane abita con i genitori.

«SI ERANO LASCIATI» - «E’ un ragazzo strano, un po’ aggressivo, si relazionava poco con noi», racconta Valentina, una cara amica di Ilaria, in lacrime davanti al palazzo. «Lei lo aveva lasciato un mese fa, lei si era stufata, mi diceva che lui le stava troppo addosso - racconta - sono stati insieme per circa un anno, ma avevano già avuto dei problemi, nell’ultimo periodo c’era stato un tira e molla». Fino a sei anni fa circa Ilaria e Gianluca vivevano fuori Milano con i genitori, separati in casa, per poi trasferirsi in un appartamento di via delle Acacie, non lontano da via Gozzoli. Dopo la morte della mamma, avvenuta un anno fa, erano rimasti per qualche mese con il padre, ma con lui i contrasti erano frequenti. Tre mesi fa circa si erano trasferiti in affitto nel trilocale al quinto piano di via Gozzoli 160. «Pur di trasferirsi e vivere insieme, Ilaria e Gianluca avevano abbandonato gli studi e iniziato a lavorare», racconta ancora l’amica Valentina. Ilaria lavorava come cameriera in un bar di via Marghera, il fratello in una compagnia di assicurazioni. I due avevano una sorella maggiore, che vive a Firenze. Il proprietario di un locale nelle vicinanze, giunto anch’egli davanti al palazzo, ha raccontato di aver saputo un paio di giorni fa che Gianluca e Riccardo avrebbero dovuto incontrarsi (guarda il video).

NIENTE MESSAGGI DA UN MESE - Ilaria scriveva spesso su Facebook e compare in molte foto a feste con tanti amici e sorridente. Martedì sera, scriveva: «la serata piu bella e significativa! siamo un trio perfetto e io vi amo ragazze stasera ogni vostro abbraccio e carezza mi ha ftt stare bene! grazie e ricordate...». Parole ricambiate dalle molte amiche con cui si scambiava messaggi. Poche parole, invece, la passione per gli Articolo 31 e il Milan, traspaiono dal profilo Facebook dell’ex fidanzato, Riccardo. I due si erano scambiati qualche messaggio fino a maggio, ma da almeno un mese sul web non c’è traccia di rapporto tra i due.


Corriere

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ADDIO AL TENENTE COLOMBO, E' MORTO PETER FALCK


L'attore americano Peter Falk, il celebre "Tenente Colombo", è morto all'età di 83 anni. La notizia è stata diffusa dai familiari dell'attore, che non hanno voluto precisare le cause della morte. Falk soffriva di demenza senile e morbo di Alzheimer. Il celebre attore ha vinto 4 Emmy per il suo ruolo da protagonista nel telefilm cult degli Anni '80.

Per tutti Falk è da sempre l'infallibile detective capace, con il suo aspetto trasandato e distratto, a incastrare il colpevole di infiniti delitit. Oltre agli Emmy, Falk ha anche vinto un Golden Globe per "Il tenente Colombo" e ottenuto due nomination all'Oscar come attore non protagonista nel 1961 e nel 1962, per "Angeli con la pistola" e "Sindacato assassini".


Tgcom

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TAV, ULTIMATUM DALL'EUROPA, "30 GIUGNO O VIA I FONDI"


Adesso è ufficiale, o meglio ancora più ufficiale. "Se i lavori della Tav non partono entro il 30 giugno l'Europa toglierà i soldi che ha destinato all'opera". L'ha scritto mercoledì' il commissario europeo ai Trasporti Siim Kallas in una lettera spedita dal vicepresidente della commissione, Siim Kallas, al ministro delle Infrastrutture, Altero Matteoli, e anticipata dal Sole-24 ore. Non è più' tempo di rinviii e quel famoso "buco" alla Maddalena di Chiomonte in Val di Susa deve iniziare.

Tre le condizioni da soddisfare entro meno di una settimana: i lavori alla Maddalena, dove i No Tav da un mese hanno allestito un presidio di opposizione, l'approvazione del progetto preliminare e la firma dell'accordo fra Italia e Francia. Altrimenti: "vi è un rischio evidente che una parte sostanziale del finanziamento globale Ue di 672 milioni di euro andrà persa". Non solo: anche i fondi futuri (il totale è di 2 miliardi) potrebbero essere in forse se il Governo non dovesse rispettare questa scadenza, con il rischio che la Torino-Lione venga cancellata dal piano di infrastrutture strategiche dell'Europa "I progressi che saranno effettuati in questo senso - si legge nella lettera - saranno cruciali per la possibilità di inserire la Torino-Lione nella futura proposta della commissione del "core network"". "La commissione - continua la lettera - mantiene il suo impegno a realizzare questo grande progetto di infrastruttura, ma è giunto il momento per i due beneficiari di impegnarsi a iniziare quanto concordato e da tanto atteso".

L'opera rischia quindi di essere cancellata totalmente e definitivamente da tutte le mappe e da tutti i programmi infrastrutturali di Bruxelles.


Repubblica

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CHOC A SETTIMO, UCCIDE IL FIGLIO DELL'EX CONVIVENTE


TORINO - Tragedia nella notte a Settimo torinese. Un ragazzo di 24 anni è stato ucciso a coltellate al termine di una violenta lite avuta con l'ex convivente della madre. La vittima è Maurizio Di Gioia, l'omicida si chiama Giuseppe Angilletta, 58 anni, residente a Torino, in via Feletto 14.

Secondo le prime indiscrezioni pare che l'uomo fosse tornato a casa dell'ex convivente, Cinzia Milan, in via Sobrero 6, a Settimo, per riprendersi degli oggetti personali. Qui avrebbe incontrato i figli della donna e sarebbe nata una discussione poi degenerata. Il ragazzo subito trasportato al San Giovanni Bosco è deceduto poco dopo. L'omicida è stato fermato dai carabinieri poco dopo il delitto mentre vagava davanti allo stesso ospedale, anche lui ferito.


La Stampa

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giovedì 23 giugno 2011

FUGA DI GAS IN VIA VEGLIA, EVACUATI DUE PALAZZI


TORINO - Momenti di panico oggi pomeriggio intorno alle 16 in via veglia 18 per una fuga di gas. Una ruspa ha spaccato un tubo largo 30 centimetri. Subito è scattato il piano d'emergenza, sul posto sono intervenuti i vigili del fuoco e i tecnici dell' Aes: sono stati evacuati due condomini, dove vivono una cinquantina di persone e la sede del quinto reparto mobile della questura. La polizia municipale ha bloccato gli accessi alla via.
Durante l'intervento i vigili del fuoco hanno irradiato la nube di gas con dell'acqua in modo da far lavorare i tecnici in sicurezza per individuare la falla.
Ora la zona è stata messa in sicurezza e a breve la gente potrà rientrare a
casa.


Repubblica

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mercoledì 22 giugno 2011

SEQUESTRA OSTAGGIO E INTANTO AGGIORNA IL SUO PROFILO FACEBOOK


USA - Sempre connessi, anche in situazioni estreme: Jason Valdez, 36 anni, ha tenuto col fiato sospeso familiari e polizia venerdì scorso. L’uomo, con piccoli precedenti penali per droga, era stato braccato dalla polizia in un albergo dello Utah, Stati Uniti, e si rifiutava d’uscire dalla stanza. Armato di pistola, teneva in ostaggio una giovane donna. Il braccio di ferro con le teste di cuoio dello SWAT è andato avanti per 16 ore. Senza risultati. Durante questo periodo il criminale ha trovato però il tempo per aggiornare il suo profilo di Facebook, mantenendo così un contatto con l’esterno. Attraverso la rete sociale ha persino ricevuto qualche aiuto: un amico ha scritto di «fare attenzione agli agenti nascosti tra i cespugli».

Quando la squadra speciale ha fatto irruzione nella camera dell’hotel a Ogden, cittadina nello stato americano dello Utah, Jason Valdez si è sparato un colpo al petto. Le sue condizioni, riferiscono mercoledì gli organi d’informazione, sono critiche ma stabili. Gli inquirenti sostengono che nella notte del sequestro il 36enne abbia usato il cellulare per aggiornare il suo account di Facebook, postando foto con l’ostaggio e almeno sei messaggi sulla bacheca. Non è chiaro se la polizia abbia seguito in tempo reale il flusso d’informazioni online che provenivano dal social network del criminale, in ogni caso Valdez ha aggiunto come minimo una dozzina di nuovi amici. I familiari hanno replicato con un centinaio di commenti. C'è chi ha pubblicato parole di conforto, altri hanno invitato l’uomo a costituirsi implorandolo di «fare la cosa giusta».

La fedina penale di Jason Valdez si è macchiata di diversi crimini: una condanna per aggressione aggravata e violenza domestica. Qualche mese fa è finito nel mirino della giustizia con accuse per possesso di droga. Un giudice aveva emesso un mandato d'arresto per l’uomo dopo che lo scorso 1°giugno non si era presentato in tribunale per l’udienza preliminare. Quando venerdì pomeriggio la polizia di Ogden si è presentata al Western Colony Inn. con un mandato di comparizione, il 36enne si è barricato in una stanza al secondo piano. I POST - «Al momento mi trovo in una situazione di stallo (...) nulla di buono, ma pronto a qualsiasi cosa», ha scritto Valdez nel suo primo post. Un altro recitava: «Vi amo, ragazzi, e se non ce la faccio ad uscire vivo da qui, mi ritroverete in un posto migliore (...)». Scherza poi sulla donna presa in ostaggio, che in un messaggio identifica col nome di Veronica: «Ho preso un “ostaggio” carino eh?». A tarda notte uno degli amici lo mette in guardia da «un agente armato nei cespugli». Valdez replica con un «grazie». Alcuni di questi amici ora rischiano un’accusa per ostacolo alla giustizia in un’indagine di polizia.


Corriere

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SI CAMUFFA PER RAPINARE LE PROSTITUTE, ARRESTATO


TORINO - Avvicinava le prostitute sempre a bordo di auto diverse, cambiando aspetto per non farsi riconoscere poi, dopo averle fatte salire in macchina, le minacciava con un coltello e le derubava. È stato arrestato ieri dai carabinieri della Compagnia di Mirafiori su ordinanza cautelare emessa dal Gip di Torino, M.R. 22 anni. È ritenuto responsabile di almeno quattro rapine a prostitute nella zona tra via Pietro Cossa, corso Regina Margherita, corso Appio Claudio e via Sostegno a Torino.

L’uomo usava sempre lo stesso modus operandi: avvicinava le donne su auto diverse camuffando la voce. Barba una volta lunga, una volta corta, capelli rasati o lunghi, abbigliamento talvolta elegante altre trasandato, e sempre a bordo di autovetture diverse, che chiedeva in prestito a parenti e amici.

Proprio le auto utilizzate per le rapine hanno permesso ai carabinieri di identificare il rapinatore seriale. I militari hanno infatti scoperto che tutte le auto era intestate a persone riconducibili al rapinatore. I carabinieri stanno indagando per scoprire se l’uomo sia responsabile di altre rapine simili in zona.


La Stampa

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PADRE DI 2 BIMBI MORTO PER UN'ORA, TORNA A VIVERE


FIRENZE - Un uomo di 36 anni di Firenze, padre di due bambini, è vivo dopo essere andato in arresto cardiaco per circa 70 minuti. “Abbiamo ricevuto un miracolo", ha dichiarato la moglie Valentina, grata agli uomini che hanno soccorso il marito e che caparbiamente hanno tentato, oltre ogni logica, di rianimarlo dopo che si era sentito male in casa.

Christian Lava, 36 anni, artigiano del ferro battuto, si era accasciato a terra mentre stava giocando in salotto con la figlia di quattro anni, accanto alla carrozzina del secondogenito di poco più di un mese, secondo quanto riportato dal quotidiano La Nazione. La moglie aveva così chiamato il 118, giunto prontamente dopo pochi minuti dall’Humanitas di Scandicci.

Il suo cuore è fermo e gli infermieri praticano senza sosta il massaggio cardiaco a mano e con il defibrillatore. E poi intubazione, fiale di adrenalina, ossigeno. La situazione si dà per disperata, sembra che non ci sia più nulla da fare. Ma gli infermieri vanno oltre i canonici 30-40 minuti massimi per tentare la rianimazione.

Dopo 70 minuti un battito torna nel polso e il cuore riparte. Per l’uomo, in stato di coma, scatta quindi la terapia intensiva presso l’ospedale San Giovanni di Dio a Torregalli, alla periferia di Firenze. E la mattina seguente l’elettroencefalogramma è una sorpresa: ottimi risultati, nessun danno cerebrale. Tre settimane dopo Christian è tornato a casa con le sue gambe. Ad oggi gli sono stati prescritti degli accertamenti per capire se è affetto dalla sindrome di Brugada, artefice di infarti improvvisi.


VirgilioNotizie

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martedì 21 giugno 2011

'NDRANGHETA AD ALESSANDRIA, ARRESTATO UN CONSIGLIERE PDL


Un consigliere comunale di Alessandria - Giuseppe Caridi (Pdl) - è stato arrestato stamani nell'ambito dell'operazione 'Maglio' contro la 'ndrangheta nel basso Piemonte. Nel corso delle indagini - hanno riferito i carabinieri - sono emersi elementi quali il conferimento della dote di "picciotto" con cui era stato ammesso ufficialmente a partecipare alle attività della 'locale' guidata da Bruno Francesco Pronestì.

L'operazione dei carabinieri del Ros è scattata all'alba, 19 sono le ordinanze di custodia cautelare emesse dal gip di Torino, su richiesta della Direzione distrettuale antimafia, nei riguardi di altrettante persone ritenute esponenti di vertice delle cosche della 'ndrangheta nel basso Piemonte.

Bruno Francesco Pronestì, uno degli arrestati, sarebbe l'esponente di vertice della ''locale'' del ''basso Piemonte'' a cui appartiene anche, sempre secondo le accuse, e il consigliere comunale di Alessandria, Giuseppe Caridi. I carabinieri hanno documentato che nella sua abitazione fu tenuta la cerimonia di attribuzione della dote di 'santa' ad alcuni degli affiliati. La ''locale'' riproduceva il modello organizzativo delle 'ndrine calabresi, atti vo ad Asti, Alba (Cn), Sommariva Bosco (Cn) e Novi Ligure (Al). In base alla ricostruzione degli inquirenti, Pronestì, con il ruolo di ''capo società'', dirigeva e organizzava il sodalizio assumendo le decisioni più rilevanti, comminando sanzioni agli altri associati a lui subordinati, dirimendo i contrasti interni ed esterni al sodalizio e curando i rapporti con le altre articolazioni dell'organizzazione.

Per chi indaga, le prime prove dell'esistenza di una ''locale di 'ndrangheta'' sul territorio piemontese sono emerse nel 2009 ai tempi dell'operazione ''Crimine'', nel corso della quale era stato documentato un incontro avvenuto all'interno di un agrumeto di Rosarno tra il ''Capo Crimine'' Domenico Oppedisano e i due indagati, Rocco Zangrà e Michele Gariuolo. Era stata ipotizzata anche la costituzione di una nuova ''locale'' di 'ndrangheta, da insediare ad Alba. Proprio in quel frangente è emerso il ruolo di vertice della struttura piemontese di Pronestì, che non condivideva la creazione di un'altra struttura territoriale, ma il cui assenso era ritenuto necessario da Oppedisano.

La nuova indagine, che oggi ha portato all'operazione ''Maglio'', delinea nel dettaglio l'esistenza e l'operatività di una locale di 'ndrangheta nel basso Piemonte, caratterizzato da tutti gli elementi tipici dell'organizzazione di riferimento: struttura verticistica, ordinata secondo una gerarchia di poteri, di funzioni e di una ripartizione dei ruoli degli associati; pratica di riti legati all'affiliazione dei membri dell'associazione ed all'assegnazione di ''doti'' o ''cariche''; comunanza di vita e di abitudini, scandita dall'osservanza di ''norme interne''; forza di coesione del gruppo che assicura omertà e solidarietà nel momento del bisogno, nonché assistenza agli affiliati arrestati o detenuti e sussidi economici ai loro familiari; impermeabilità verso l'esterno ottenuta anche con l'utilizzo di linguaggi convenzionali; disponibilità di armi. L'ingresso e il conferimento di gradi all'interno dell'''onorata società'' avveniva attraverso l'attribuzione delle cosiddette ''doti'', il cui conseguimento è espressione di potere e di prestigio in seno all'organizzazione.

Lo scorso 8 giugno un'analoga operazione, denominata "Minotauro", aveva portato all'esecuzione di 151 ordinanze di custodia cautelare in tutta Italia per la presenza della 'ndrangheta nella sola provincia di Torino. Gli arresti effettuati furono 146; cinque persone sono tuttora latitanti.


Repubblica

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TORINO EVENTI, "NON C'E' FUTURO SENZA SOLIDARIETA'"


«Non c’è futuro senza solidarietà»: è lo slogan del raduno nazionale del volontariato e del non profit italiano in programma a Torino dal 24 al 26 giugno, nell’ambito di Esperienza Italia 150. È la prima volta nella storia che il Terzo settore al completo si presenta sotto un unico simbolo, quello del «Comitato 2011 - Unità dell’Italia solidale», composto da 11 soci promotori tra cui il Forum Nazionale del Terzo Settore (80 organizzazioni per 94 mila sedi territoriali) e la Consulta Nazionale del Volontariato.

Il momento clou della tre giorni sarà domenica 25 giugno in piazza San Carlo con un evento presentato da Fabrizio Frizzi in cui verranno raccontate 40 storie di solidarietà selezionate dagli organizzatori, con intermezzi musicali a cura dell’orchestra di Paolo Belli e del Laboratorio del Suono del Sermig. Tra i partecipanti, Valentino Castellani, ex sindaco di Torino e presidente del Comitato Organizzatore di Torino 2006, Pierluigi Dovis, direttore della Caritas Diocesana di Torino, Suor Giuliana Galli, vicepresidente della Compagnia di San Paolo, ed Ernesto Olivero del Sermig.

Durante la presentazione del Raduno è stato reso noto che il capoluogo piemontese ospiterà il nuovo «Museo diffuso del sociale» che il Comitato 2011 lancerà proprio in occasione del raduno nazionale. «Si tratta - sottolinea Gianfranco Cattai, coordinatore del Comitato 2011 - di un luogo fisico ma anche virtuale capace di valorizzare il patrimonio distribuito sul territorio nazionale, ma anche un sistema di reti, di realtà e di storie con cui entrare in contatto per recuperare le buone pratiche e le identità del mondo non profit».

«Per costruire una società più equa e più giusta serve solidarietà, altrimenti non c’è futuro - aggiunge Cattai - a Torino testimonieremo come il nostro mondo abbia portato all’unità dell’Italia solidale. Molte organizzazioni sono nate con lo stato unitario, hanno contribuito realizzarlo, a farlo crescere e oggi, insieme alle associazioni più ’giovanì, intendono ribadire idee, valori, obiettivi e tradizione storica. Abbiamo scelto Torino per la ricorrenza dei 150 anni e per celebrare l’Anno europeo del volontariato».

«Il sociale - rileva Elide Tisi, assessore comunale di Torino al Welfare e alle Politiche sociali - ha contribuito a costruire gli italiani, ha fatto sì che le persone iniziassero a vivere insieme. Bisogna evitare che le persone entrino in situazioni di marginalità, per questo bisogna continuare a investire e innovare in questo settore. Torino può diventare la capitale della solidarietà».


La Stampa

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PROCESSO ETERNIT, "AMIANTO IN AZIENDA FINO ALL'86"


TORINO - Eternit, nella seconda udienza dedicata alla requisitoria, Guariniello concentra una vita intera, la sua, di processi. Quest’ultimo è decisamente il più imponente: per i numeri (3000 vittime del lavoro nocivo), i reati (disastro ambientale e omissioni dolose di cautele nei luoghi di lavoro) e la sfida che ha proposto (gli imputati sono i vertici di una delle major dell’amianto nel mondo). Il processo alla multinazionale Eternit diventa il coronamento di una carriera in cui il magistrato ha profondamente inciso sulla giurisprudenza in questa materia.

Fa scuola Guariniello e non è un caso che citi in aula, di fronte a decine di avvocati della difesa, «le 12 fondamentali sentenze, in gran parte emesse dal tribunale di Torino, sull’amianto e prodotti chimici che hanno causato centinaia morti in fabbrica». Ne emerge, di riflesso, la storia di stragi del lavoro che hanno imposto una diversa attenzione sulla salute come bene primario, da tutelare e «che ha imposto al datore di lavoro l’obbligo di informarsi e di tenersi aggiornato sugli interventi tecnologicamente adottabili per applicarli anche quando - la Cassazione è irremovibile - vi siano controindicazioni economiche».

«Quelle 12 sentenze - riparte Guariniello - riguardano i processi per l’Ipca di Ciriè, la Sia di Grugliasco, l’Amiantifera di Balangero, la Saca di Cavagnolo, le officine ferroviarie di Torino, l’amianto nel grattacielo Rai di via Cernaia....». Per i coloranti killer dell’Ipca morì un centinaio di lavoratori; quegli stessi coloranti, banditi in Italia, vengono utilizzati nella produzione made in China di t-shirt anche per bambini. E via con i quasi altrettanti morti della Società Italiana Amianto di Grugliasco in cui lavoravano tante donne e molte di loro se ne sono andate al creatore per un mesotelioma.

Una malattia terribile che tanti lavoratori Eternit hanno avuto o hanno in comune con i loro compagni di quelle fabbriche. Come ricorda nella sua prima parte di requisitoria il pm Gianfranco Colace trattando la responsabilità degli imputati Louis de Cartier e Stephan Schmidheiny quali «datori di lavoro che impostarono strategie industriali che non hanno impedito la strage di lavoratori a contatto con il rischio amianto».

Colace ha parlato per quasi 4 ore sull’argomento: fabbriche vecchie, soprattutto quella di Casale Monferrato, polverosità disastrosa, reparti particolarmente a rischio, controlli programmati, inefficaci e in parte, secondo lui, farlocchi. La difesa dello svizzero Schmidheiny gioca dall’inizio del processo sulla «svolta in materia di sicurezza imposta dal nostro cliente subentrando al vertice di Eternit e per cui investì 70 miliardi di lire».

Il pm eccepisce ripartendo da quel 1972: «Per completare quella programmazione si dovette arrivare a fine 1979. E comunque su una questione decisiva, l’impiego di crocidolite, l’amianto blu che avrebbe dovuto essere abbandonato subito, fu invece protratto in grandi quantità sino alla chiusura degli stabilimenti italiani e al fallimento». La crocidolite è sinonimo di cancro quasi garantito da 70 anni.

Aggiunge: «Abbiamo, fra i tanti documenti, la lettera che il presidente dell’Amiantifera di Balangero (gruppo Eternit) scrisse al dottor Rossi, dell’Istituto Superiore di Sanità, dopo che lo specialista, al convegno di Saint Vincent del 1971, disse che si doveva vietare l’import di crocidolite. Il dirigente Eternit gli scrisse per protestare: «In Italia non è proibito il fumo da sigaretta!».


La Stampa

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lunedì 20 giugno 2011

ECCO COME CAMBIERA' L'UNIVERSITA', LA RIVOLUZIONE NEL 2012


TORINO - Più efficienza con meno risorse, è la rivoluzione delle università. Mancano poche settimane alla scadenza del termine entro cui presentare il piano di riordino degli atenei previsto dalla riforma Gelmini e Torino, come tutti i maxi poli universitari d’Italia, vive giorni di caos burocratico. Indaffarata a sforbiciare i corsi per i prossimi anni accademici e a estinguere le facoltà, così come vuole il ministro. Grandi manovre e molti equilibrismi, per tenere insieme un puzzle complesso chiamato Università degli Studi, che nel 2012-2013 avrà un volto completamente diverso da oggi.

La legge prevede che gli insegnamenti siano gestiti in futuro dai «dipartimenti», comprendenti al loro interno un minimo di 40 docenti. Questo vincolo rappresenta un colpo mortale per le medio-piccole realtà dipartimentali, tenute in vita oggi da 12 o 13 docenti, che spariranno o perderanno la loro specificità, per confluire in strutture più grandi e dalle denominazioni più generali. Dei 55 dipartimenti attuali, a Torino, ne resteranno meno della metà: 25, al massimo 27 (il disegno è ancora in discussione). Saranno responsabili della didattica e dei corsi, compresa la gestione dei docenti e della ricerca scientifica. Un potere più consistente dell’attuale e in lizza ci sono molti aspiranti al ruolo di direttore.

I dipartimenti apparterranno a loro volta a sei grandi «scuole», sul modello statunitense, che prenderanno il posto delle facoltà, corrispondendo grosso modo a macro-aree disciplinari: scuola umanistica, scuola medica, scuola giuridica e di scienza politica (concentrate all’ex Italgas), scuola di scienze naturali, veterinaria, scuola economica (ai Poveri Vecchi). Queste ultime saranno strutture leggere che risolveranno le questioni pratiche, tipo l’organizzazione delle aule e degli spazi. Una dieta accademica che mira al risparmio. Prima di tutto del personale amministrativo. Ma nella rivoluzione degli accorpamenti, l’Università, conservatrice per eccellenza, vive giorni di lotte intestine tra i dipartimenti per accaparrarsi un ruolo di prestigio nel nuovo e più snello impianto. Così si è scatenato un vero e proprio «calciomercato» dei docenti (corteggiati come non mai), necessario per restare in vita. Spesso con la promessa che un cambio di casacca e di afferenza potrebbe aprire nuove prospettive di ricerca.

Prendiamo ad esempio il Dams e Scienze dell’Educazione, che fino a oggi facevano polo a sé. Il primo sparirà, assorbito completamente dalla galassia di Studi Umanistici, il nuovo nome dentro al quale saranno radunati gli attuali Lettere, Lettere Classiche, Filologia, Discipline Antropologiche, Orientalistica, forse Beni Culturali (anche se parte degli storici dell’arte sta pensando a un apparentamento con Storia) e una possibile nuova Sis per futuri insegnanti. Il secondo farà gruppo con Filosofia, ma già si accende lo scontro, perché nessuno dei due accetta di comparire per ultimo nella denominazione del dipartimento. Storia e Lingue resistono sulle posizioni per fare area autonoma. E Geografia? Addio. Dissolta con i suoi docenti in molti rivoli. Così Scienze delle Religioni.

Economia manterrà due dipartimenti forti e compatti, Giurisprudenza uno, come Scienze Politiche. «Delle due facoltà di Medicina sarebbe opportuno ne nascesse una sola - spiega il Rettore Pelizzetti -. Veterinaria farà a sé, perché ha una tradizione antica da valorizzare». Lo stesso vale per Agraria, Farmacia e Matematica, Chimica e Fisica. Ma è a Psicologia che si consuma il dilemma più grande. Molti docenti, insoddisfatti, vorrebbero cavalcare la situazione per fare il salto tanto atteso di dipartimento e anche di carriera, soprattutto nel caso dei giovani ricercatori. Un approdo allettante per loro è Scienze dell’Educazione, anche se Medicina, per ovvie ragioni di familiarità disciplinare, fa da seduttivo contraltare. Ma un’emorragia interna troppo grave potrebbe mettere addirittura a rischio la sopravvivenza del dipartimento.

Non parliamo poi di tutte quelle realtà interdipartimentali, per cui il cambiamento comporta una ridefinizione dell’identità. È il caso di Sociologia o di Scienze della Comunicazione. Dove andranno i loro professori? Lo si saprà quando le forbici della riforma entreranno in azione.


La Stampa

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PER 6 ANNI HA INTASCATO LA PENSIONE DELLA MADRE MORTA


TORINO - Per sei anni - dal 2003 al 2009 - ha continuato a incassare la pensione di dipendente pubblico della madre frodando lo Stato di oltre 80 mila euro. Alla fine, però, l' uomo - C.E., 62 anni, di Milano - è stato smascherato dall'Inpdap e dai carabinieri, che lo hanno denunciato in stato di libertà per truffa aggravata e appropriazione indebita. La vicenda si è svolta a Torino, dove risiedeva la madre, D.A., morta nel 2003 all'età di 87 anni. Da allora, fino a quando l'Inpdap ha scoperto il decesso della donna, il figlio aveva continuato tranquillamente a percepire la pensione. Ora, oltre all'esito dell'inchiesta penale, sarà chiamato a risarcire il danno provocato alle casse pubbliche in sede civile.


Repubblica

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AGGREDITA IN VIA PO UNA FAMIGLIA DEL BANGLADESH


TORINO - Aggrediscono in gruppo una famigliola di cittadini del Bangladesh. E’ accaduto l’altra notte, vittime padre, madre e figlia di 11 anni, in via Po, all’altezza del 31. Una decina di ragazzini, quasi tutti minori, italiani, hanno circondato l’uomo, Abdul Gazi, 36 anni. Mentre due cercavano di distrarlo chiedendo informazioni su braccialetti e anelli, gli altri tentavano di rubare i soldi custoditi in una cassetta. Abdul Gazi ha reagito ed stato picchiato. La moglie e la figlia volevano difenderlo e sono state a loro volta aggredite dal gruppo di ragazzi. L’uomo riusciva a far intervenire il 113, le pattuglie del commissariato Centro e Borgo Po, subito bloccavano due minorenni, che si erano allontanati di pochi metri; poi, dopo, venivano individuati altri protagonisti. La famiglia del Bangladesh è stata poi soccorsa dalla polizia e accompagnata al pronto soccorso dell’ospedale Mauriziano. Sotto choc ma tutti con ferite lievi.

«Appena si sono accorti che non ero rassegnato a farmi portare via l’incasso, si sono inferociti. Mi solo volati addosso, in gruppo, mia moglie e la mia bimba mi hanno difeso, loro si sono accaniti anche contro le donne».I testimoni confermano la testimonianza dell’ambulante. «Sembravano ubriachi o drogati - hanno detto agli agenti - la rapina sembrava solo un pretesto, forse volevano animare una serata un po’ noiosa, un modo per divertirsi a danmo di chi è più debole».

Un anno fa, un episodio analogo, sempre sotto i portii di via Po. La vittima di un’aggressione di gruppo di nuovo un ambulante del Bangladesh, Repon M., 33 anni, arrivato cinque anni fa dal Bangladesh, picchiato di fronte al banchetto dove vendeva collane e braccialetti sotto i portici, nel tratto tra via Delle Rosine e via San Massimo. Fu preso a pugni e anche colpito alla testa con un bastone.

Episodi fotocopia. Spiega il vicequestore Gian Luigi Brocca, del commissariato Centro: «Siamo intervenuti in pochi minuti, subito dopo la segnalazione alla centrale. I minorenni erano ancora nei dintorni, non si sono forse nemmeno resi conto di cosa è accaduto». Tutti e due denunciati a piede libero e affidati ai genitori. Sono incensurati, studenti, senza precedenti di polizia.


La Stampa

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domenica 19 giugno 2011

DAI CLAN CALABRESI 24MILA EURO PER FAR ELEGGERE IL FIGLIO DI CORAL


TORINO - E' costato 24 mila euro, secondo i magistrati, l'interessamento della 'ndrangheta per l'elezione di Ivano Coral, figlio di Nevio, in consiglio provinciale nel 2009. Dalle telefonate intercettate durante le indagini dell'operazione Minotauro, il passaggio di denaro si intuisce chiaramente.

Così come si evince che Coral si sarebbe interessato in altre occasioni a pagare le spese legali di "parenti" arrestati, e a sostenere le loro famiglie. La "cena elettorale" si svolge nell'albergo del figlio Claudio, il Verdina di Volpiano. Nevio Coral cerca consensi per l'altro figlio, Ivano, già succedutogli come primo cittadino di Leinì e poi candidato alle elezioni amministrative provinciali del 6 giugnio 2009.

Il 18 maggio, Emilio Gallo con precedenti per reati inerenti gli stupefacenti, chiama Vincenzo Arghirò, esponente del "crimine", partecipe della "società maggiore" con la dote di "quartino" conferitagli il 13 aprile 2008, affiliato alla 'ndrangheta quantomeno dal 1997 e gli chiede se sia possibile organizzare un incontro con "Nevio" (Coral). "Gallo gli passa la comunicazione - scrive il gip nell'ordinanza - e nel corso della telefonata emerge in maniera palese che Coral si rivolge ad Argirò per aiutare la carriera politica del figlio Ivano. In altri termini, l'indagato assume l'iniziativa per ottenere l'appoggio e i consensi elettorali di cui lui e il figlio hanno bisogno. Argirò si dimostra disponibile e i due si accordano per incontrarsi a cena mercoledì 20 maggio 2009, al ristorante Verdina, di Volpiano, di proprietà del già citato Claudio Coral, figlio di Nevio".

La mattina del giorno successivo, a riprova dell'importanza della questione, viene intercettata una telefonata tra Gallo e Argirò che si risentono in separata sede, nella quale Argirò, che alla cena inviterà alcuni "parenti" che avrebbe piacere di presentare all'organizzatore della serata. Gallo si preoccupa di precisare che a Coral "interessa Borgaro e Volpiano", riferendosi alle zone nelle quali questi intende prendere consensi a favore del figlio. I due, proprio per favorire il contatto con il gruppo 'ndranghetista di Volpiano, concordano di invitare anche Nicola e Valter Macrina, due esponenti della locale di Volpiano già conosciuti, evidentemente, anche per questioni lavorative dallo stesso Coral.

Alla cena, che dura circa tre ore, e alla quale il Nucleo investigativo di Torino fa in modo di "partecipare" con le microspie, sono presenti oltre a Coral e Argirò, Vincenzo Todarello, Antonio Ruberto, Emilio Gallo, Eduardo Cataldo, Gioachino Giudice, Massimiliano Lastella. L'ex sindaco di Leinì, ora consigliere comunale, illustra "i progetti di sviluppo ambientale riguardanti la zona di Volpiano, lasciando chiaramente intendere ai presenti (che chiama con l'appellativo di "imprenditori"), che si aprirebbero molteplici prospettive di lavoro" come scrive il gip. "Credo che qui siamo tutti imprenditori ognuno nella sua misura - dice Coral agli invitati - non è vero che siamo dei disonesti, abbiamo solo bisogno di lavorare". Gallo dice esplicitamente che Ivano punta a un assessorato. E Coral aggiunge "... varrebbe la pena esserci, ma esserci vuol dire organizzare anche lavori pubblici... perché al massimo sono milioni di euro di lavoro sul territorio...". E ancora, parlando di lavoro di squadra: "Innanzitutto prendiamo uno lo mettiamo in Comune, l'altro lo mettiamo nel consiglio, l'altro lo mettiamo in una proloco, l'altro lo mettiamo in tutta altra cosa, magari arriviamo che ci ritroviamo persone nostre... e diventiamo un gruppo forte...". La cena si conclude con la distribuzione di volantini agli ospiti che subito dopo si allontanano in diverse direzioni.

Todarello il 5 giugno parla con Francesca Argirò e le dice dovranno perorare la causa di Ivano Coral per le vie di Volpiano e Brandizzo e che per farlo hanno ricevuto 24 mila euro che Todarello al telefono chiama "la fattura". La presunta opera di volantinaggio produce i suoi effetti a distanza di pochissimi giorni visto che Coral figlio ottiene 1.797 voti a Borgaro, 2.836 voti a Leinì e 1.937 voti a Volpiano. Il 13 giugno a bordo della Golf, Argirò, sua moglie e Todarello: "Noi gli abbiamo dato i risultati" ora bisogna "tenere in pugno" Coral.


Repubblica

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IL TOUR DEL DOLORE PARTE DALL'EST E FINISCE PER STRADA


TORINO - Il ragazzo è robusto, atletico, i capelli neri e corti, gli occhi neri. Pantaloncini, zoccoli da spiaggia, indossa la maglia della Juve con il numero 10 di Del Piero. E’ senza braccia, amputate all’altezza delle spalle. Moncherini con i segni ancora vividi di una cicatrice recente, dal colore rosso bruno.

Stringe con i denti un piccolo cestino di plastica azzurro. Gli automobilisti lo guardano, alcuni si fermano, tanti danno soldi. Dall’altro lato della piazza c’è una ragazza, con una gravissima lesione all’anca; Roxana ha 22 anni, è romena, ha trascorso la sua vita in un centro di recupero nel Nord del suo paese. «Lavorare non posso, la mia famiglia non ha niente, quando mi hanno chiesto se volevo andare a Ovest ho detto sì».

Ma «chi» te lo ha chiesto? «Un uomo che aveva già preso altre persone come me, tornate con un po’ di soldi. Ho accettato». Roxana si avvicina faticosamente, trascinando una gamba ridotta quasi a uno scheletro, aiutandosi con un bastone, alle auto ferme ai semafori. E’ piccola di statura, quasi sparisce quando scende dal marciapiede, ricompare all’improvviso dopo aver oltrepassato un furgone.

L’autista è romeno, le parla nella sua lingua, a volte basta anche un solo sorriso. «Ci sono anche ungheresi, li vanno a prendere negli ospedali». Altro incrocio, altro disabile. E’ un cinquantenne gracile, rasato a zero. Canottiere e pantaloncini blu. Le sue gambe sono imprigionate in una protesi, una gabbia di acciaio e cuoio, forse appartenevano a una persona più alta, le cinghie sono strette in modo innaturale. Percorrere i pochi metri che lo separano dal punto in cui, in un equilibrio precario, allunga una mano per chiedere l’elemosina, è una specie di calvario, che si ripete, ogni volta.

Ci sono tre furgoni bianchi, con targa romena, parcheggiati nei giardini, all’inizio di corso Ferrucci. Fanno parte dell’organizzazione che sfrutta queste persone. Una donna sta cucinando qualcosa nella cucina del camper, i bambini giocano nelle aiuole, proprio di fronte. Sono con voi, i ragazzi al semaforo? «Si, noi gli aiutiamo, gli diamo da mangiare».

Presto ne andranno da Torino. Non restano più di venti giorni, al massimo un mese. Il tour prevede nuove tappe in altre città europee, non solo italiane. Il tempo di sfruttare lo choc e la pena che sollevano, come un riflesso automatico, quelle vere mutilazioni o esiti di malattie terribile e poi via, sino a quando c’è bisogno di nuovi figuranti, in grado di rappresentare al meglio il dolore e vere sofferenze.

Non c’è tempo per la pietà. Il ragazzo senza braccia, alle 20,30 ha finito il suo turno di lavoro e si avvicina, rapido, verso i camper. Una donna gli prende il secchiello, gli porge una bottiglia d’acqua, lui poi va a riposarsi su una panchina. Una ragazzina («sono sua sorella», dice), gli mette sulle spalle la giacca di una tuta. I bambini della comunità continuano a giocare. Via via arrivano gli altri. Hanno l’aria esausta, lo sguardo frastornato, come storditi dal fragore del traffico, i vestiti pieni di polvere. Gli assistenti li accolgono e li aiutano a riprendersi dalla fatica. Un catino pieno d’acqua e una spugna per lenire il male alle gambe.

Gente rassegnata, senza rabbia, senza odio. Lo spiega Roxana: «Non posso fare altro, non ho nessuna alternativa, a noi basta un piccolo aiuto». E «quelli» che ti aspettano? «Senza di loro non potremmo neanche sopravvivere, nel mio Paese non ci sono soldi per assisterci, il nostro destino è quello di morire nella miseria, è meglio stare qui, in Italia, se mi sento male mi curano negli ospedali».

Il capo degli assistenti è una donna sulla quarantina, abbastanza ostile: «I soldi li tengono loro, a noi danno un rimborso per il letto e per il cibo, ma sono nostri amici, nessuno li costringe. Non siamo criminali, ci aiutiamo solo». All’interno del camper sono montati letti a castello, ci sono panni stesi e ovunque flaconi di medicinali, creme, bende. Antidolorifici, antidepressivi. Per cancellare la disperazione.


La Stampa

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sabato 18 giugno 2011

SASSAIOLA CONTRO LA TAV, 5 INDAGATI: "MA RESISTEREMO"


VAL SUSA - La notte del 23 maggio, a Chiomonte, alta Val Susa, nel sito dove inizieranno i lavori per la costruzione della nuova linea ferroviaria dell’Alta Velocità Torino-Lione, gli operai incaricati di aprire un collegamento tra l’autostrada e l’area del cantiere furono oggetto di una fitta sassaiola, durata quasi un’ora. Autori, circa 200 contestatori, alcuni con il volto nascosto da passamontagna e cappucci; la polizia sequestrò 120 chili di pietre e i lavori furono interrotti, nonostante la presenza dei reparti anti-sommossa. Ieri la procura di Torino ha chiuso la prima fase dell’indagine e ha indagato cinque militanti del movimento No Tav.

All’alba sono state perquisite le loro abitazioni e la sede torinese del centro sociale Askatasuna. Gli indagati, per resistenza e altri reati, sono uno dei leader storici degli oppositori alla Tav, Alberto Perino, 66 anni (dovrà rispondere anche di istigazione a delinquere, in seguito a un comizio avvenuto alla fine di una marcia di protesta); Giorgio Rossetto, 52 anni, uno dei capi di Askatasuna; Brando Ratti, 22, studente universitario del Collettivo Autonomo, di Forte dei Marmi; il torinese Damiano Piccione, 32, un altro studente, Lorenzo Carrieri, 27, di Gemonio (Varese). Quest’ultimi due erano stati coinvolti, nel 2009, negli scontri per il G8 Università. Piccione finì in cella.

Gli agenti della Digos torinese si sono presentati alle 6 nella casa di Condove di Perino, una villetta persa in un borgo vicino al centro. Sono stati controllati documenti, carte, un computer ma, alla fine, è stata sequestrata un’agenda-diario. «Ci tengo i conti della spesa e poco altro ha detto, al termine dell’atto giudiziario, disposto dai pm Giuseppe Ferrando e Manuela Pedrotta - non capisco perchè l’abbiano presa». In realtà, nel libretto, sarebbero annotati considerazioni, orari, spostamenti, nomi di presunti complici, legati proprio alle recenti manifestazioni oggetto dell’inchiesta, non tutte all’insegna della «non violenza».

A Torino gli investigatori del capo della Digos, Giuseppe Petronzi, sono entrati nel centro sociale Askatasuna. Cercavano la stanza di Giorgio Rossetto, perquisita a fondo; poi le case dei due studenti. Alle 10 di ieri l’operazione era già conclusa. Tra le accuse mosse a Perino, quella (inedita) di istigazione a delinquere. Ecco un frammento delle parole incriminate: «...Quando arrivano alla Maddalena, bloccheremo da Torino a Chiomonte. E se a Torino qualcuno sta pensando di festeggiare i 150 anni dell’Unità d’Italia, bene, dovranno averne tanti di poliziotti per presidiare, che so, Piazza Castello, Palazzo Reale, Palazzo Carignano, la Venaria Reale...Noi dimostreremo all’Europa che se toccano la Maddalena è finito il turismo a Torino. A Torino, ci sarà la battaglia, non violenta, la battaglia tranquilla, a modo nostro ma non sarà una festa...».

Ieri, Perino ha lanciato accuse al procuratore Giancarlo Caselli: «Vengo incriminato per avere incitato la gente a resistere, ebbene voglio reiterare il reato, son pronto ad andare anche in carcere». Poi s’è richiamato ai «partigiani che in Valle Susa resistevano ai nazi-fascisti», e al diritto di opporsi all’opera, definita «devastante» e «inutile». Nessun commento da Caselli. Ma fonti della procura ribadiscono che i magistrati non sono mossi da logiche politiche bensì da notizie di reato. E, soprattutto, che questa come le altre azioni giudiziarie è stata intrapresa al solo scopo di affermare il valore della legalità.

Sono 73 gli avvisi di garanzia spediti a Perino e ad altri esponenti del movimento, per una lunga serie di reati, dagli abusi edilizi e per aver impedito, nel 2010, le trivellazioni dei terreni.


La Stampa

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GIOVANI IN PIEMONTE, UNA VITA DIFFICILE, 1 SU 3 E' SENZA LAVORO


Le analisi a questo punto dell’anno sono chiare, ma l’Ires Piemonte - nel presentare l’annuario statistico - ha deciso di andare oltre i dati sul andamento di produzione e consumi. Il presidente, Enzo Risso, ritiene che raccontino solo una parte della realtà. La qualità della vita è un concetto più sfaccettato. Per analizzare il Piemonte, quindi, sono state utilizzate le linee della Commissione Stiglitz.

Ne esce l’immagine di una regione più lenta di altre simili - come già indicato anche dalla Banca d’Italia - ma saldamente nella pattuglia di testa in Italia. Ha alle spalle un lascito molto positivo che però viene eroso per sopravvivere alla crisi economica. Ma il declino economico non è cosa recente: dura da molto tempo e oggi sta colpendo in particolare i giovani.

Un giudizio rafforzato dall’intervento di monsignor Nosiglia: «Quando il livello di disoccupazione giovanile in Italia supera di molto il 20% ed è di 3 volte maggiore rispetto agli altri Paesi europei e nella nostra regione raggiunge ben il 35%, dobbiamo amaramente constatare che non riusciamo a valorizzare i giovani offrendo loro la possibilità di un lavoro veramente dignitoso».

Aggiunge: «I giovani, però, stanno dimostrando di voler cambiare la situazione, magari scendendo in piazza per dire basta al precariato e per chiedere un lavoro dignitoso o impegnandosi nuovamente nelle diverse compagini della società civile con il desiderio di vivere la propria cittadinanza in modo attivo».

Anche il presidente della Regione, Roberto Cota, ritiene quella dei giovani una emergenza e ricorda che il 22 ci saranno gli Stati generali sul lavoro nei quali ribadirà le proposte per favorire, con l’abbattimento dell’Irap, le assunzioni stabili di under 30.

Secondo l’Ires il Piemonte eccelle - ed è primo nei confronti con Italia, Lombardia, Veneto, Emilia, Toscana - nella categoria cosiddetta del «quotidiano» e cioè quell’insieme di indicatori come la scarsa propensione al mobbing, il tasso di precariato più basso che altrove, la maggior sicurezza nella mobilità, il minor numero di incidenti sul lavoro. E al primo posto si colloca anche per l’ambiente e cioè minor inquinamento da rumore e da aria, paesaggi meno degradati. E con questo sono finite le eccellenze. Sta ancora al terzo posto per la sicurezza intesa come numero di reati, paura o senso di sicurezza.

Al quarto si colloca nella voce «partecipazione» intesa come il sentire di riuscire a contare qualcosa nella vita sociale attraverso volontariato, gruppi di acquisto solidali, internet, partecipazione al voto.

Quarto posto anche per il capitolo «salute» intesa come possibilità di vivere a lungo in buone condizioni e di godere della assistenza necessaria. In questo caso il Piemonte va molto bene per la qualità della salute complessiva e della speranza di vita, meno bene per la qualità della sanità e l’alto tasso di alcolismo.

La regione è a fine classifica per l’istruzione a causa del basso tasso di laureati, nella socialità intesa come relazioni con gli amici. In fine classifica anche per l’economia a causa del maggior numero di disoccupati soprattutto giovani.


La Stampa

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