giovedì 10 marzo 2011

SULLE TRACCE DI FABRIZIO, SPARITO NEL NULLA DA 23 GIORNI


TORINO - Fabrizio è un fantasma da ventitré giorni. Finito in un buco nero, come le gole di questa valle dove il suo telefono ha emesso l'ultimo segnale: poi più niente. Il silenzio. E l'angoscia dei genitori di un ragazzone di 26 anni, tutto casa, pallone e fidanzata che adesso ripetono «non sappiamo più dove sbattere la testa».

Fabrizio Dianin lo cercano in Val di Susa, a un'ora di macchina da Saluggia, provincia di Vercelli, il suo paese. Lo cercano decine e decine di soccorritori: vigili del fuoco e volontari della Protezione civile, e anche la gendarmerie d'oltralpe rimane in costante contatto radio.

Un elicottero dei carabinieri sorvola l'area compresa nei quaranta chilometri di strade e di paesi che separano Susa dal Monginevro e dal confine francese. E' su Chiomonte, Oulx, Cesana, Sestrière, la val Chisone.

E ce ne sono quasi cento, di chilometri, tra la sua villetta a un passo dal centro e queste montagne. Ma sembra un mondo. Perché nessuno riesce a spiegarsi che cosa ci facesse, Fabrizio, proprio qui.

Poche ore prima è al lavoro, martedì 15 febbraio. L'ultimo giorno che l'hanno visto. Poi sale sulla sua Peugeot 207 nera e con il Telepass lascia una traccia all' uscita dell’autostrada. Direzione: Val di Susa.

«La sua fidanzata l'aveva cercato all'ora di cena. Il telefono era già spento», racconta la mamma, Patrizia. Nemmeno un biglietto. Nemmeno una litigata che possa far pensare a un colpo di testa. La vita di Fabrizio sembra in ordine, fino a quel giorno. La fidanzata da chiamare quasi sempre alla stessa ora e i preparativi del matrimonio, fissato per il mese di settembre. La tuta da lavoro con i pantaloni blu e la maglia rossa da indossare presto, al mattino, perché ad aspettarlo c'è il suo posto da operaio in una ditta specializzata in pannelli fotovoltaici a Borgo d'Ale, una manciata di chilometri da Saluggia, il suo paese.

E la solita borsa bianca e nera della sua squadra di calcio, la Virtus, perché nel pomeriggio lo aspettano prima i ragazzini delle giovanili, poi i suoi compagni che giocano con lui in Prima categoria. Un po' allenatore, un po' calciatore. «Arrivo verso le cinque e mezza, come ogni martedì pomeriggio», confida a un dirigente della sua società, Marco Formica, appena dopo pranzo. E' anche l'ultima persona che lo sente.

Prima di lui, i suoi colleghi e la mattina, sulla porta di casa, i genitori: «Ci vediamo stasera. Non faccio tardi». Fabrizio infila un bomber azzurro con le righe blu scure e la scritta Adidas stampata sulla schiena. Va a lavorare, lo vedono salutare tutti alla fine del turno. «Non abbiamo notato niente di strano», dicono in fabbrica. E' un ritornello. «Ne hanno dette di falsità e di cattiverie su di lui, in questi ventitré giorni. La verità è che noi che lo conosciamo così bene non riusciamo davvero a capirci nulla». La madre, Patrizia, che ripete ad ogni appello «torna da noi, se c'è un problema possiamo risolverlo insieme» sente storie come quella della Legione straniera e della fuga per paura di sposarsi. Nega tutto, con forza. Non ci sono prove. Racconta la storia di Fabrizio due volte in tv, a «Chi l'ha visto?». L'ultima, ieri sera. Ma non arriva nessuna segnalazione.

E nei due giorni di ricerche, ora che tra Mompantero e Clavière tentano di trovare almeno l'auto, ai volontari impegnati in questi sentieri torna in mente la tragedia di Daniel Busetti, fuggito per paura di aver ferito delle persone in uno scontro in macchina e infine morto di stenti. A vent'anni. La paura, adesso, è che lui stesso, Fabrizio, sia rimasto vittima di un incidente. Solo, tra queste montagne. Almeno tre settimane fa. «Ci ha sorpreso che abbiano iniziato le ricerche in Valsusa così tanti giorni dopo la scomparsa - confida la madre -. Ma cosa possiamo fare noi? Speriamo, preghiamo».


LaStampa

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