domenica 31 ottobre 2010

TORINO ESPOSIZIONI, "PALESTRA, PISCINA E CENTRO BENESSERE"


Palestre e piscine a fare da sfondo a un immenso centro benessere. Tutto nel cuore della città, a due passi dal parco del Valentino. A metterci la firma potrebbe essere Virgin Active. E' una delle ipotesi a cui sta lavorando Palazzo civico per dare un ragion d'essere a Torino Esposizioni. "E' un edificio - sottolinea l'assessore comunale all'Urbanistica Mario Viano - che presenta dei costi di gestione altissimi. Una voce non più sostenibile per Palazzo civico". Ecco che entrano in gioco i privati, gli unici ancora in grado - in tempi di patti di stabilità e tagli reiterati - di gestire un simile colosso dell'urbanistica. "Il nostro obiettivo - premette Viano - è quello di destinare questo spazio, non lontano dal centro, a una funzione pubblica. In questi giorni stiamo trattando con i privati. Una possibilità è quella di trasformare Torino Esposizioni, naturalmente senza stravolgere l'architettura del Nervi, in un grande centro benessere, dotato di palestra e di piscina".

L'altro scenario è legato al mondo delle imprese. "C'è già - annuncia l'assessore - un pool di aziende interessato a insediarsi negli spazi di corso Massimo d'Azeglio, con l'idea di creare un polo espositivo permanente sul tema delle energie rinnovabili. Una cosa però è sicura: Torino Esposizioni non diventerà né un museo, né un polo congressuale, né tanto meno un centro commerciale. Dev'essere comunque uno spazio aperto al pubblico".

Il complesso fieristico che abbraccia il quartiere di San Salvario fu progettato da Pier Luigi Nervi nel 1949. E se per l'altra sua creatura, il Palazzo del Lavoro, il Comune è riuscito a trovare un uso alternativo strappandolo alla ruggine e al degrado - partiranno infatti in primavera i lavori che lo trasformeranno in un centro commerciale, la questione su Torino Esposizioni è ancora aperta.

A maggior ragione ora che l'edificio, in occasione delle celebrazioni per i 150 anni dell'Unità d'Italia, dovrebbe ospitare la mostra dedicata proprio a Nervi. A fine luglio era stato lanciato l'allarme: senza un restyling lo spazio espositivo sarebbe stato inutilizzabile. "Al momento - si limita a rispondere Viano - non abbiamo previsto lavori". Ad assicurare che la mostra si farà è però l'assessore comunale alla Cultura Fiorenzo Alfieri. "Non c'è nessun intoppo - ribadisce - e Torino Esposizioni ospiterà come da programma l'allestimento dedicato a Nervi. E' tutto pronto".

A restare preoccupato per il destino dell'edificio è Marco Grimaldi, consigliere comunale di Sel. "Non è un bel segnale - sottolinea - che in occasione del 2011 non sia prevista un'iniziativa importante al suo interno. Uno dei più bei poli della città rischia sostanzialmente di rimanere vuoto. E sul lungo termine il futuro di questo spazio espositivo si presenta ancora più incerto. Un vero peccato visto che quell'area, immersa nel parco del Valentino, avrebbe bisogno di una destinazione d'uso all'altezza del prestigio del Nervi".

Una delle ipotesi richiama il centro culturale Bellini. "E' vero - conclude Grimaldi - che sono stati spesi diversi milioni di euro per il progetto che riguarda la Spina vicino al Politecnico e che adesso sarebbe insostenibile investire altre risorse per un nuovo studio. A suo tempo però sarebbe stata un'ipotesi da prendere in considerazione: oggi Torino Esposizioni rischia di rimanere una grande scatola vuota".


(REPUBBLICA.it)
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HONDURAS, STRAGE AL CAMPETTO, RAFFICA DI SPARI SU 14 PERSONE


Si è conclusa in tragedia quella che doveva essere una tranquilla partita di calcio amatoriale: almeno 14 persone sono state uccise ieri sera in un campo sportivo di San Pedro Sula, nel nord dell’Honduras, mentre stavano per assistere al match. Da un auto in corsa un commando armato ha aperto il fuoco sulla folla degli spettatori, uccidendo dieci persone sul colpo. Immediati i soccorsi per gli altri feriti, quattro dei quali sono però deceduti poco dopo in ospedale. Lo ha reso noto la polizia attraverso il vice ministro alla Sicurezza, Armando Calidonio, che ha già aperto un’indagine per individuare i responsabili della strage. Molti i parenti delle vittime presenti al campo sportivo, dove alcuni testimoni hanno assistito a scene strazianti di madri e fratelli disperati per i congiunti uccisi.

Non è chiaro cosa abbia scatenato l’attacco, ma la zona è teatro di scontri tra bande rivali nel traffico della droga. San Pedro Sula è situato in una regione dove le bande di narcotrafficante raffinano la cocaina prima di inviarla ai mercati statunitensi. Negli ultimi anni si sta aggravando l’escalation della violenza nel Paese, dove muoiono in media 12 persone al giorno e dove i massacri sono sempre più frequenti. La maggior parte dei delitti resta impunita a causa - secondo le organizzazioni a difesa dei diritti umani - dell’inefficienza della polizia.


(LASTAMPA.it)
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ISTANBUL, ATTENTATO KAMIKAZE CONTRO UN COMMISSARIATO


Un attentato dinamitardo contro agenti di polizia anti-sommossa ha causato almeno 15 feriti (due sono gravi) a Istanbul. A provocare l'esplosione un kamikaze che si è fatto esplodere nei pressi di un commissariato. L'emittente privata Ntv sta trasmettendo le immagini di un cadavere steso sull'asfalto di piazza Taksim e ricoperto con dei giornali.

L'esplosione è avvenuta nella centralissima piazza, sulla riva europea della metropoli turca: le immagini diffuse dalle televisioni locali mostrano numerose ambulanze giunte sul posto per soccorrere i feriti (6 sono civili e 9 poliziotti).

La polizia ha cordonato la zona e chiuso anche la strada pedonale di Istikal, non lontano dal luogo dello scoppio.

Fonti del Consolato generale d'Italia ad Istanbul, che dista poche centinaia dalla grande piazza Taksim, hanno riferito che non risultano sinora italiani coinvolti nell'esplosione ma il consolato sta comunque svolgendo accertamenti.


(REPUBBLICA.it)
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SUPERENALOTTO, CENTRATO IL "6", VINCE UN SISTEMA DA 70 QUOTE


4 - 26 - 40 - 54 - 55 - 67. Jolly: 41; Superstar: 78. Una combinazione che vale quasi 178 milioni di euro. Il jackpot da favola del Superenalotto (è il montepremi più alto mai assegnato in Italia) cade: dopo quasi nove mesi e 113 concorsi di attesa, il bramato «6» è stato infatti centrato grazie a un sistema da 70 quote, da 24 euro ciascuna. Conti alla mano, ogni quota vale due milioni e 538 mila euro. Quello baciato dalla dea bendata è un sistema della Bacheca di Sisal (raggiungibile dalle normali ricevitorie ma anche tramite il Superenalotto online). Venticinque quote delle 70 della «giocata a caratura» che ha azzeccato il «6» sono state giocate al tabacchi Ilario di via Cristoforo Colombo 3 a Sperlonga, in provincia di Latina. Cinque quote sono state vendute alla tabaccheria Foto Betti il Cantuccio di via Nazionale 18 a Colico (Lecco); tre quote a Francavilla Fontana (Brindisi). Le altre sono spalmate un po' su tutta la Penisola (l'elenco completo). Ogni singola quota, comunque, potrebbe essere stata comprata da un singolo, suddivisa tra più persone, o un giocatore avrebbe potuto comprare più quote.

SISTEMA - Il fortunatissimo sistema a caratura a lunghezza 9, ossia con una colonna a 9 numeri, ha generato, oltre alla vincita dei record, diciotto «5» (in tutto sono stati 54), quarantacinque «4» e venti «3», per un totale di oltre 413mila euro oltre ai 177,7 milioni assegnati dal «6». Il sistema a caratura è stato realizzato sulla Bacheca di Sisal riservata ai ricevitori: un sistema a caratura (cioè con suddivisione delle quote di spesa e in questo caso di vincita) in cui, se abbinato alla giocata con Superstar, la spesa totale potrebbe essere di 1680 euro. Il sistema è stato diviso in più quote, scaricate dai ricevitori Sisal di tutta Italia.

«VINCITA SOSPETTA» - Il «6» da favola ha acceso la miccia delle polemiche. E in particolare di quelle del Movimento Diritti Civili. Il presidente Franco Corbelli ha parlato «vincita sospetta» su cui «deve indagare la magistratura». «Avevo previsto l'uscita del 6 questa sera e avevo anticipato il tutto ad alcuni giornalisti e altre persone - dice Corbelli - E la conferma che si tratti di una truffa arriva dal fatto che per la prima volta la Sisal non è in grado di dire subito in quale zona è stato realizzato il 6». Per questo Corbelli chiede che «la competente Procura della zona dove si è realizzato il 6 apra una immediata inchiesta su questa vincita sospetta».

SI RIPARTE DA 45 MILIONI - Martedì prossimo il jackpot riparte da 45 milioni di euro, grazie al regolamento introdotto nel giugno 2008 che prevede che il 50% del montepremi di «5+» non estratto vada a aumentare il bottino del «6» in palio, mentre il restante 50% va ad arricchire il montepremi di partenza.


(CORRIERE.it)
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sabato 30 ottobre 2010

DALL'ITALIA ALLA CINA SENZA PILOTA E BENZINA


Erano partiti a luglio dall'Italia. Sono arrivati a Shanghai due giorni fa, nel pieno rispetto della tabella di marcia. Il team di VisLab, lo spin off dell'Università di Parma, ce l'ha fatta: i quattro camioncini arancioni, alimentati ad energia solare, hanno percorso i 15mila lunghissimi chilometri che separano la Cina dall'Italia. Senza guidatore. Un'impresa che sembra incredibile e che è invece è il frutto del lavoro di un gruppo di ricercatori italiani, capitanati dal professor Alberto Broggi, che per il loro progetto hanno ricevuto un finanziamento di 1,7 milioni di euro dal Consiglio Europeo delle Ricerche. I quattro furgoncini-prototipo hanno superato brillantemente la prova. Grazie alle videocamere intelligenti e a una serie di sensori sono arrivati puntuali all'appuntamento con la chiusura dell'Expo di Shanghai. Il tutto senza l'ausilio di strumenti per la localizzazione: niente mappe o navigatori.

VISIONE ARTIFICIALE - Tutto era nelle "mani" di GOLD (Generic Obstacle and Lane Detector), il sistema computerizzato di visione artificiale messo a punto da VisLab. Un viaggio sulle orme di Marco Polo, attraverso l'Europa Orientale, la Russia, il Kazakhstan e il deserto dei Gobi, con l'intento di sottoporre i veicoli a quante più sollecitazioni esterne possibili dal punto di vista del clima, del traffico, del manto stradale. Missione compiuta, dunque, anche se qualche intoppo c'è stato. Alle frontiere, ad esempio, dove l'aspetto "misterioso" dei veicoli ha creato non pochi problemi, facendo accumulare ritardi smaltiti con qualche ora di guida manuale. Oppure sulla tangenziale di Mosca, dove il traffico si dispone su tre corsie, nonostante la carreggiata sia composta solo da due. Anche in quel caso è dovuta subentrare la guida umana. Il computer guidava secondo le regole, i moscoviti no. E si rischiavano incidenti. Sempre a Mosca, i van arancioni sono sconfinati in un area pedonale, rischiando di diventare i primi veicoli senza guidatore a ricevere una multa. Il momento più difficile è stato quando uno dei veicoli ha perso il controllo, andando a sbattere contro un ostacolo ai lati della strada. Salvo poi scoprire che la "colpa" era stata di un giornalista, che salito a bordo, aveva inavvertitamente disattivato il pilota automatico.

IMPATTO ZERO - Accolti come delle star all'arrivo a Shanghai, gli ingegneri italiani ha ricevuto manifestazioni di affetto e di curiosità durante tutto il percorso. Ora torneranno in Italia, con un enorme mole di dati da analizzare, che serviranno per rendere il trasporto automatico e a impatto zero una realtà quotidiana nelle città. Forse, a fronte del grande interesse suscitato a livello mondiale per la loro impresa, è proprio dall'Italia che l'impresa di VisLab, il cui sito internet è riuscito a movimentare lo 0,04‰ del traffico globale di internet nel momento di lancio dell’iniziativa, ha ricevuto meno attenzione, anche dal punto di vista mediatico. Del resto è un fatto che la maggior parte dei finanziamenti con cui il gruppo parmense porta avanti le proprie ricerche arrivano dall'estero. Le partnership con aziende italiane impegnate nel settore dell'automotive non mancano, ma il contributo più consistente arriva da imprese straniere. Mentre le istituzioni italiane non hanno investito un euro in VisLab. E anche se il team di Broggi rimarrà nel nostro Paese, il rischio è che il frutto del loro lavoro finisca in mani straniere. «Nessuno si accorge che quando i finanziamenti arrivano dall'estero, i risultati se ne vanno all'estero. I nostri brevetti e i nostri risultati vengono utilizzati da industrie straniere che chiaramente non aiutano certo a migliorare la competitività italiana» è l'amara conclusione del professor Broggi. Far sì che questo non accada sembra essere più complicato di un viaggio di 15mila chilometri senza conducente.


(CORRIERE.it)
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TORINO, TRICOLORE SUI BALCONI, LA LEGA NON CI STA


Alla guerra delle bandiere. La Lega Nord non ci sta a fasciare tutti i palazzi di Torino con il tricolore per i festeggiamenti del Centocinquantenario dell’Unità d’Italia. Motivo: «L’iniziativa costerebbe troppo alla città». L’idea, a detta dei promotori, sembrava il giusto compromesso tra massimo rendimento scenografico (immaginiamo che potenza visiva avrebbe il capoluogo se da ogni balcone pendesse il simbolo della patria) e costo minimo di realizzazione (molti di noi in casa hanno una bandiera dell’Italia). Ma già si prevede scontro in Consiglio comunale.

Il «look of the city» in tinta tricolore sembrava ormai una certezza. Era stata presentata con largo anticipo, in Comune, una mozione in cui si chiedeva al sindaco e alla giunta di avviare una campagna di sensibilizzazione verso i cittadini per far sventolare fuori dalle finestre delle abitazioni private, dal marzo prossimo, il vessillo dell’Unità. Primo firmatario, il consigliere del gruppo misto Carlo Zanolini. A seguire, molti altri di maggioranza e opposizione.

La proposta è stata accolta all’unanimità martedì scorso, alla conferenza dei capigruppo di tutti i partiti. Ma a quella riunione la Lega era assente. E ora che tutto è pronto per essere discusso in Consiglio, ora che sembravano rose e fiori e che la polemica pareva per una volta tacere, i vertici leghisti hanno comunicato il loro secco no. Dice Mario Carossa, capogruppo del Carroccio in Comune: «Non penso debba essere normato il fatto che i torinesi espongano la bandiera per celebrare l’Unità. Siamo in democrazia, sfoggiare il tricolore è una questione di coscienza e sensibilità personale, lo farà chi ci crede».

Dal Carroccio non arriva nessuna alternativa che richiami alla memoria le vicende della scuola di Adro, griffata sulle pareti con il sole delle Alpi, simbolo del partito di Bossi. Il vero motivo dell’opposizione è un altro: «Per pubblicizzare l’iniziativa si spendono soldi pubblici e noi non ci stiamo». Ironizzando, Carossa aggiunge: «È curioso vedere gli stessi politici di sinistra, non solo estrema, che 30 anni fa guardavano al tricolore come a un sinonimo di fascismo, oggi incredibilmente convertiti. Se siamo al punto di dover fare una campagna di sensibilizzazione per i simboli della patria, forse l’Unità d’Italia non ha funzionato del tutto».

Le repliche non tardano ad arrivare. Primo fra tutti, il presidente del Consiglio comunale, Beppe Castronovo. Lui che è siciliano trapiantato a Torino, liquida la questione in poche battute: «Non si discute. Questa vicenda va intesa come il tributo al sacrificio di quanti, da destra e da sinistra, hanno lottato per l’unificazione e hanno costruito nei decenni il senso civico e la cultura nazionale». Anche il capogruppo Pd Andrea Giorgis si dice stupito: «È un vero peccato che la Lega non riconosca nella bandiera il simbolo della nostra democrazia. Sono gesti che non portano da nessuna parte, aiutano solo a dividere un Paese che è già diviso».

La proposta di Zanolini prevede che vengano imbandierati non solo palazzi ed edifici privati, ma anche le sedi istituzionali. Su quest’ultima idea, il consigliere di Sel, Marco Grimaldi, insinua un ulteriore dubbio: «Mi auguro che non sia proprio il palazzo della Regione, visto il colore della sua maggioranza, a non esporre la bandiera».

D’accordo sulla mozione è invece Daniele Cantore, capogruppo Pdl: «Dobbiamo dirci orgogliosi di essere italiani». Tra le righe, non nasconde il richiamo al logo che fu di Forza Italia: «Il tricolore è stato nel Dna del Popolo della Libertà».

Intanto, i preparativi per agghindare la città in vista di marzo 2011 fervono. Sull’esempio fortunato delle Olimpiadi invernali del 2006, torneranno a sventolare ai lati delle strade lunghi banner colorati. Se allora erano rossi, l’anno prossimo saranno «blu Risorgimento». Una tinta di azzurro tendente all’indaco. È stata ideata dagli architetti Italo Lupi, Ico Migliore e Mara Servetto per non dover rivendicare paternità politiche. Evidentemente, la prudenza ideologica non è mai troppa.


(LASTAMPA.it)
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C'ERA UNA BOMBA NEL PACCO DI DUBAI, LA FIRMA E' DI "AL QAEDA"


La polizia degli Emirati Arabi ha confermato i sospetti peggiori degli Stati Uniti. Il pacco intercettato a Dubai 1 e diretto a Chicago conteneva una bomba nascosta in una stampante e tutto fa pensare che sia opera di Al Qaeda. Il pacco conteneva pentrite (tetranitrato di pentaeritritolo, Petn) un esplosivo sintetico non sensibile all'umidità nascosto all'interno di una stampante e in una cartuccia. Il Petn è lo stesso esplosivo usato per il fallito attentato del Natale scorso sul volo Amsterdam-Detroit, di cui fu autore un nigeriano arruolato dal braccio yemenita di Al Qaeda.

Il pacco proveniente dallo Yemen e diretto a Chicago era stato trovato in un centro di smistamento della FedEx a Dubai, dopo l'allarme internazionale per pacchi bomba spediti scattato negli Stati Uniti. "Era preparato in modo professionale e c'era un circuito elettrico collegato alla Sim di un cellulare nascosta nella stampante", si legge in un comunicato della polizia di Dubai, "si tratta di un sistema con le caratteristiche di altri usati in passato da organizzazioni come Al Qaeda".

L'indagine è in corso. Secondo fonti dei servizi di sicurezza citati dal quotidiano britannico Times, i pacchi sospetti sarebbero stati un test di Al Qaeda nella Penisola Arabica per penetrare le misure di sicurezza del sistema cargo. I pacchi erano indirizzati a sinagoghe di Chicago. I servizi di sicurezza americani stanno cercando altri 15 pacchi spediti dallo Yemen per verificarne la pericolosità, scrive il Times. "Continuiamo a rafforzare la nostra cooperazione con il governo yemenita per sventare nuovi attentati e distruggere il ramo di Al Qaeda" nella penisola arabica, ha affermato Obama, precisando che il suo consigliere per l'anti-terrorismo, John Brennan, aveva parlato al presidente dello Yemen, Ali Abdallah Saleh. Secondo la Casa Bianca, Obama era stato tenuto al corrente giovedì sera di una "possibile minaccia terroristica".

Il portavoce governativo a Sanaa, citato dall'agenzia ufficiale Saba, ha assicurato che la determinazione dello Yemen è giustificata dal fatto che il "terrorismo è un pericolo che minaccia tutto il mondo". Il portavoce ha infine confermato che i servizi di sicurezza yemeniti e le autorità dell'aviazione civile hanno "cominciato un'inchiesta" sui pacchi sospetti "che si svolge in coordinazione con le autorità competenti degli Emirati Arabi Uniti, della Gran Bretagna e degli Stati Uniti". Le forze di sicurezza yemenite hanno già potenziato i controlli sui pacchi in partenza e organizzato posti di blocco in tutto il Paese. Nella capitale Sanaa la polizia ha avviato controlli sulle auto in transito e i loro passeggeri. Rafforzata la sicurezza nel quartiere diplomatico, lungo la tangenziale attorno alla città e in tutti i porti e aeroporti del Paese.

E' polemica invece in Gran Bretagna dove ieri, secondo quanto scrive il Daily Telegraph, il primo ministro britannico David Cameron non sarebbe stato informato per ore della minaccia terroristica dei due pacchi con materiale esplosivo spediti dallo Yemen, uno dei quali era stato esaminato dalla polizia nel centro di distribuzione di East Midlands, un aeroporto nell'Inghilterra centrale.

Cameron era a Bruxelles per il vertice europeo e Downing Street è rimasta in silenzio anche quando alle 23 ora di Londra il governo britannico ha fatto sapere che ieri si era riunito il gruppo Cobra, che coordina nel Regno Unito le reazioni all'emergenza. Col pacco di East Midlands arrivato nelle mani degli investigatori alle 3,28 di ieri mattina, il primo ministro è stato informato che alle 16, quasi 12 ore più tardi, scrive il quotidiano seguito a ruota dal Guardian che rincara la dose.

Mentre Downing Street 'dormiva', sono bastati sette minuti perché la segnalazione dell'MI6 su East Midlands arrivasse sulla scrivania dell'Oval Office: alle 10,35 ora di Washington l'assistente della Casa Bianca per l'antiterrorismo John Brennan informava il presidente americano Barack Obama della minaccia. Gli interrogativi sui ritardi nelle comunicazioni con Downing Street si aggiungono a quelli sulla risposta confusa data dalla polizia britannica, che ha riesaminato il pacco di East Midlands solo ore dopo l'iniziale scoperta e dopo che allarmi paralleli erano emersi dagli Stati Uniti. A quanto pare inizialmente la polizia del Leicestershire non era riuscita a trovare l'esplosivo nel pacco sospetto e solo dopo l'intervento di Scotland Yard, parecchie ore più tardi, le autorità hanno capito la serietà della minaccia.


(REPUBBLICA.it)
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MARCEGAGLIA, "PARALISI ITALIA. RITROVARE DIGNITA' ISTITUZIONI"


Un Paese in preda alla paralisi, azione del governo assente in un momento molto difficile per l'economia. È un nuovo duro intervento quello che la presidente di Confindustria Emma Marcegaglia ha pronunciato al convegno dei giovani imprenditori a Capri, sollecitando un «cambiamento di passo». «C'è un senso di sfiducia forte, un senso di smarrimento - scandisce -. Il Paese è in preda alla paralisi».

DIGNITÀ - «È necessario ritrovare il senso delle istituzioni e il senso della dignità, altrimenti non si va avanti - aggiunge Marcegaglia, con un probabile riferimento alle ultime polemiche sulla vita privata del premier Berlusconi -. La politica deve riprendere il senso delle istituzioni, altrimenti l'Italia non ce la fa». In ogni caso, spiega, «Confindustria non dice che la responsabilità è del presidente del Consiglio, bisogna che la politica nel suo complesso reagisca». Come? Riprendendo «l'agenda delle riforme vere per ridare crescita e occupazione al Paese: fisco, ammortizzatori sociali, ricerca e innovazione e infrastrutture». In particolare, «la riforma fiscale bisogna assolutamente farla: bisogna tagliare la spesa pubblica, fare la lotta all'evasione e trovare risorse per ridurre le tasse al lavoro e alle imprese». Iniziative difficili da attuare, dato che «il governo non c'è, a parte qualche iniziativa singola. Il Parlamento non legifera più. Non si riesce nemmeno a eleggere il presidente della Consob».

NO ELEZIONI - Ma la leader degli industriali ribadisce anche il suo no all'ipotesi di elezioni anticipate: «Continuo a pensare che andare a votare in questa situazione è molto complicato. Resto dell'idea che non si debba andare alle elezioni, perché ad aprile c'è il piano di crescita e competitività da approvare in Europa. Abbiamo bisogno di serietà e che si facciano le cose per il Paese».

MARCHIONNE - Infine, un forte sostegno a Sergio Marchionne: «Confindustria è chiaramente a supporto della Fiat - dice Emma Marcegaglia -. Quel che sta facendo Marchionne è riportare l'attenzione sui problemi di competitività delle imprese. Io sono d'accordo con lui, ma è anche vero che ci sono tante imprese che continuano, a ragione, a investire in Italia».


(CORRIERE.it)
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venerdì 29 ottobre 2010

CLINICA DEGLI ORRORI, SENTENZA "15 ANNI E 6 MESI ALL'EX PRIMARIO"


E' stato condannato a 15 anni e mezzo di carcere l'ex primario di Chirurgia toracica della Santa Rita, la cosiddetta "clinica degli orrori" di Milano, Pier Paolo Brega Massone. Nella requisitoria, lo scorso aprile, i pm Tiziana Siciliano e Grazia Pradella aveva chiesto 21 anni di reclusione. Ai suoi vice, Marco Pansera e Pietro Fabio Presicci, sono stati inflitti rispettivamente sei anni anni e nove mesi e dieci anni anni di carcere. I tre medici - interdetti per cinque anni dalla professione - erano accusati a vario titolo di 83 casi di lesioni ai danni di altrettanti pazienti, ma sono stati assolti da quattro imputazioni e parzialmente da una quinta imputazione. La sentenza è stata accolta con apparente indifferenza dal principale imputato. La moglie, invece, è scoppiata a piangere.

La decisione è stata presa dai giudici della quarta sezione penale del tribunale di Milano (presidente del collegio, Luisa Balzarotti). Per l'ex primario si aggiunge l'interdizione perpetua dai pubblici uffici. Inoltre dovrà risarcire, in alcuni casi in solido con la clinica e in altri con i coimputati, una quarantina di parti civili fino a 80mila euro ciascuno. Duecentomila euro dovranno essere versati all'Ordine provinciale dei medici, 40mila alla Asl di Milano e 30mila alla Regione Lombardia. "Sono il capro espiatorio di una situazione più ampia", è il commento che Brega Massone ha fatto al suo legale, l'avvocato Luigi Fornari. Il difensore, al termine della lettura del dispositivo della sentenza, ha dichiarato che " questo è un processo estremamente complesso e le motivazioni saranno complesse e opinabili. Per questo - ha aggiunto - ricorreremo in Corte d'appello e anche in Cassazione".

Un chirurgo e un uomo "crudele, dall'indole malvagia e priva del minimo senso di umana pietà", fu definito Brega Mssone. Un medico "il cui agire è stato finalizzato solo al massimo profitto". Lui si è sempre difeso: "Dal giorno in cui ho ricevuto queste accuse dico che ho sempre agito in scienza e coscienza e per quello che ritenevo essere il meglio per il paziente". Era il 9 giugno del 2008 quando a Milano scoppiava lo scandalo Santa Rita: 14 camici bianchi e amministratori della clinica di Città Studi (convenzionata con il Servizio sanitario nazionale) finiscono nel mirino della giustizia per presunte operazioni "avventate, inutili, dannose". Per il primario Brega Massone e per Presicci, fra i suoi più stretti collaboratori, si aprono le porte del carcere. Gli altri finiscono agli arresti domiciliari.

Secondo la Procura milanese, i medici imputati dal 2005 al 2007 avrebbero eseguito 83 interventi nella migliore delle ipotesi completamente inutili, effettuando decorticazioni e sezioni, soprattutto di polmoni e mammelle, unicamente per chiedere il massimo dei rimborsi. Fra gli episodi contestati ci sono anche una decina di casi di pazienti con tubercolosi curati con l'asportazione del polmone. In altri casi sarebbero state asportate mammelle a donne in giovane età, compresa una ragazza di 18 anni, senza motivo, quando sarebbe bastata la semplice asportazione di un nodulo.

Una donna di 88 anni affetta da tumore sarebbe stata operata tre volte in tre mesi (con un rimborso di 12mila euro a intervento), quando sarebbe bastato un solo intervento. In molti casi il consenso all'intervento non sarebbe stato firmato dai pazienti e l'operazione eseguita anche contro il parere del medico curante. Tutto, ipotizzano i pm, per rimpolpare le buste paga, che da 1.700 euro al mese potevano lievitare fino a 27mila euro, "in totale mancanza di ogni considerazione per il paziente e per la sua sofferenza".

Le vicende ricostruite dalle indagini, i racconti dei pazienti, le intercettazioni raccolte dai pm, dipingono camici bianchi senza scrupoli e lunghi calvari affrontati da malati di cancro che si concludevano con operazioni drastiche e invasive. Tutto inizia con l'esposto di un anonimo che dà il via agli accertamenti curati dai militari. Nella denuncia si segnalava che i pazienti ricoverati in "regime convenzionato" sarebbero stati sottoposti a interventi diversi rispetto a quelli effettivamente necessari, così da ottenere rimborsi maggiori.

Il notaio Francesco Paolo Pipitone, ex proprietario della clinica, a cinque mesi dal terremoto che travolge la struttura patteggia la pena a quattro anni e quattro mesi di reclusione. Per gli altri indagati il 2 dicembre del 2008 si apre il processo. Fin da subito i riflettori sono puntati su Brega Massone. E' lui, che in un sms si autodefiniva "l'Arsenio Lupin della chirurgia", il perno attorno a cui ruota l'intero sistema, secondo i pm. E mentre nelle aule di tribunale si consumano gli ultimi atti del dibattimento, la clinica Santa Rita ha deciso di voltare pagina e lasciarsi alle spalle il passato. Nuovo nome, Istituto clinico Città studi (Iccs), nuovi vertici, nuovi progetti. Per chiudere i conti la struttura ha versato anche 7 milioni di euro alla Regione Lombardia, per un danno patrimoniale che è stato in un secondo momento ridimensionato.


(REPUBBLICA.it)
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TORINO, ANZIANI MALATI, RADDOPPIATE LE LISTE D'ATTESA


A Torino non era mai successo, o quasi. In una città che sta invecchiando, dove quasi un cittadino su cinque ha più di settant’anni, nelle residenze per anziani ci sono posti vuoti. Sarebbe una buona notizia, se non fosse che i letti sono immacolati perché mancano i soldi per tenerli occupati. Ci sono duemila anziani torinesi in coda per un posto in una residenza socio-assistenziale, e ce ne sono quasi seimila che aspettano personale specializzato che li venga ad assistere a casa e, nell’attesa, si reggono sulle spalle dei parenti o vengono sballottati da un ospedale all’altro.

Torino è una città con ottomila persone - equamente divise sulle due aziende sanitarie - che al momento non ricevono il sostegno cui avrebbero diritto. L’anno scorso erano quasi la metà. Hanno effettuato le visite mediche previste dalla legge; si è stabilito che hanno la necessità - e i requisiti - per avere un’assistenza domiciliare o un posto in una Rsa. E invece nulla, perché il sistema sanitario nazionale è in bolletta: lo Stato taglia i trasferimenti alle Regioni, che a loro volta sforbiciano sui bilanci, e le Asl sono costrette a ridurre i servizi. Solo un anno fa le liste d’attesa erano molto meno massicce: cinquemila casi in tutto.

Oggi siamo a ottomila. «Siamo sull’orlo del baratro», per dirla con le parole delle associazioni che seguono minori, anziani e disabili. Ieri si sono ritrovate in Comune, convocate dalle commissioni Assistenza e Pari opportunità presiedute da Domenica Genisio e Lucia Centillo, insieme con il direttore dell’Asl To1 Ferruccio Massa e il commissario dell’Asl To2 Giacomo Manuguerra. E hanno snocciolato i dati di un fenomeno preoccupante. Nell’ultimo anno l’Asl To2, che ha chiuso il 2009 con un disavanzo di 32 milioni e ora è in mano al commissario, ha visto crescere le richieste di ricovero in residenza da 1760 a 1841, e i casi di anziani da assistere a domicilio da 2680 a 3170.

All’Asl To1 viaggiano sulla stessa lunghezza d’onda. Peccato che i piani di rientro imposti per contenere i deficit di bilancio abbiano costretto le aziende a ridurre drasticamente i servizi di assistenza a domicilio e ricovero in residenza, mentre - almeno per ora - non si registrano difficoltà su minori e disabili.

Oggi, prima di ottenere il posto in residenza cui si ha diritto, si deve aspettare un anno e mezzo. L’anno scorso Comune e Asl hanno stretto un accordo per far fronte all’emergenza: le aziende sanitarie avrebbero dovuto stanziare 14 milioni di euro ciascuna e Palazzo Civico 22, per provare ad arginare l’impennata delle liste d’attesa. Poi sono piombati i piani di rientro e tutto è saltato. «Il problema è qui», spiega l’assessore ai Servizi sociali del Comune Marco Borgione, «oltre al fatto che negli ultimi anni le residenze per anziani edificate in città sono state realizzate tutte dal Comune. Non una è stata costruita dalle Asl».

Il 2011 si annuncia ancora più fosco. Le cifre lasciano poco spazio all’ottimismo: «Il governo ha deciso di tagliare i fondi alla sanità», spiega Genisio. «La Regione farà altrettanto. E i Comuni non potranno toccare palla, perché residenze e domiciliarità sono interventi in capo al sistema sanitario nazionale. Così i posti nelle strutture restano vuoti. Perché occuparli costa».


(LASTAMPA.it)
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ROMA, SALTA IL RED CARPET CON LE STAR, PROTESTE PER I TAGLI


Fuori la protesta, dentro il film “Last night” sulle tentazioni del tradimento; fuori i ragazzi delle scuole di cinema a rischio chiusura, dentro Gina Lollobrigida in abito rosso vaporoso come la sua monumentale acconciatura; fuori i precari che aspirano ad un futuro migliore per il settore, dentro il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta che giudica la protesta un danno di immagine al cinema. Parte così, con un clima da assemblea anni ’70, con i manifestanti a fare il sit-in e ad applaudire e a fischiare fuori dell’Auditorium la quinta edizione del Festival di Roma, mentre dentro in sala una folla di ospiti illustri aspetta di vedere il film interpretato da Keira Knightley e Eva Mendes.

Il tappeto rosso è occupato fisicamente dai manifestanti, circa 1.500, arrivati in corteo dal palazzetto dello Sport dove avevano deciso unitariamente la manifestazione per protestare contro i tagli al cinema. Molti hanno magliette bianche con scritto “Tutti a casa”, molti sono giovanissimi studenti, ma tra loro si intravedono Ettore Scola, Carlo Verdone, Paolo Sorrentino, Marco Bellocchio, Mimmo Calopresti, Neri Marcorè, Francesco Siciliano, Marco Bellocchio, Sandro Petraglia, Massimo Ghini, Beppe Fiorello, Alessandro Haber, Monica Scattini, Francesca e Cristina Comencini, Monica Guerritore, Isabella Ferrari, Kim Rossi Stuart, Barbara Bouchet, Riccardo Tozzi e gli impegnatissimi Andrea Purgatori e Stefano Rulli. C’è chi ha avvistato Nanni Moretti, mentre Paolo Virzì con Michela Ramazzotti passano veloci e entrano subito. Gli ospiti alla spicciolata sono costretti a camminare nei corridoi dell’Auditorium, risparmiando alla passerella lo struscio di improbabili mise che oscillano tra pellicce buone per la prima neve e jeans sciamannati.

Sul red carpet occupato e addobbato di striscioni si fa largo Sergio Castellitto con la giuria internazionale del Festival, legge il documento uscito dall’assemblea delle 32 associazioni riunite per una protesta unitaria. Gli agenti antisommossa sorvegliano vigili l’ordine pubblico, specie nei momenti iniziali quando ancora non si riusciva a capire se veramente tutto si sarebbe svolto pacificamente, come Rulli dei 100 autori più volte aveva raccomandato urlando al microfono. In sala siedono Gianpaolo Letta, Ad di Medusa, e il presidente Carlo Rossella (fischiato), il vicedirettore generale della Rai Giancarlo Leone, Bruno Vespa, i produttori Lucisano e Tozzi, il presidente Bnl Luigi Abete, il sindaco di Roma Gianni Alemanno,i presidenti della Provincia Nicola Zingaretti e della Regione Lazio Renata Polverini. A sorpresa nell’arena dei manifestanti arrivano le star della serata, Keira Knighley e Eva Mendes, entrambe in abito cipria, svolazzante la prima, sinuosa la seconda, con la regista del film Massy Tadjedin e Guillaume Canet. Si mostrano ai protagonisti della protesta, esprimono solidarietà. Il sottosegretario Gianni Letta critica la protesta e così il ministro Bondi che si è tenuto alla larga dall’Auditorium, come fece al Festival di Venezia e a quello di Cannes, senza però mancare di far sentire la sua voce sul tema, dicendo che la protesta è a suo giudizio «ingiustificata e faziosa». Valeria Solarino, madrina ispirata, chiede in sala di non spegnere il cinema. Glamour e protesta si sono unite in un connubio raro e alla fine utile per tutti, perchè telegenico e di grande visibilità: così stasera si sono accesi i riflettori sul Festival che comincia.


(LASTAMPA.it)
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TOR BELLA MONACA, DISABILE PRESO A PUGNI PER UN GRAFFIO SULL'AUTO


Credeva che gli avesse rigato l'automobile e così lo ha aggredito prendendolo a pugni e colpendolo al viso più volte. Vittima a Roma un disabile di 38 anni che ha sporto denuncia ai carabinieri. L'aggressione è avvenuta mercoledì all'ora di pranzo, in via Agostino Mitelli, a Tor Bella Monaca, alla periferia della Capitale.

DAVANTI ALL'ASILO - La vittima, Paolo Girardi, disabile, stava aspettando il figlio fuori dall'asilo nido, intorno alle 13, quando, l'aggressore, 25 anni, incensurato, arrivato in auto, è sceso dal mezzo e lo ha colpito più volte al volto con dei pugni. Poi è fuggito. L'uomo rischia anche di perdere l'uso di un occhio. «Prendersela con un disabile è una vigliaccata», ha commentato il fratello dell'uomo aggredito che lavora a Multiservizi. «Mio fratello - ha aggiunto - al momento non può essere operato perché ha la faccia troppo gonfia per le botte ricevute. Ora sta facendo degli accertamenti e potrebbe essere operato domani o sabato. Rischia di perdere l'uso di un occhio».

IL LITIGIO - Prima dell'aggressione i due, secondo quanto si apprende, avevano già avuto un litigio per motivi di viabilità, probabilmente per un parcheggio. Per questo motivo il 25enne, trovando l'auto rigata, avrebbe pensato che il responsabile potesse essere lui. L'aggressore, che non ha precedenti penali, lavora come magazziniere. I carabinieri della stazione di Tor Vergata ora ascolteranno i testimoni dell'aggressione. I medici gli hanno dato 40 giorni di prognosi e sabato dovrà sottoporsi ad un intervento per la ricostruzione dello zigomo tramite una placca.L'uomo, che a quanto riferito ha una disabilità motoria alle braccia per la quale riesce a muoverle parzialmente, è ricoverato al policlinico Tor Vergata con 40 giorni di prognosi. Il ragazzo denunciato si sarebbe allontanato dopo averlo colpito, ma rintracciato poco dopo si è recato in caserma.

IL RACCONTO - «Mi ha scambiato per qualcun altro. Non mi ha dato neanche il tempo di reagire che subito ha iniziato a picchiarmi». Lo ha detto Paolo Girardi, il disabile aggredito che ora è ricoverato nella casa di cura Villa Betania con 40 giorni di prognosi. «Non prendo la mia macchina da mesi, perché non ho i soldi per pagare l'assicurazione - ha aggiunto - quindi non posso aver graffiato io la sua macchina». «Io conoscevo di vista quel ragazzo, perché abita in un palazzo vicino all'asilo nido dove porto mia figlia. Lì abita anche una coppia di amici che frequento e ci siamo più volte incrociati per le scale. Non ci salutavamo - ha concluso - però lo conoscevo di vista». «È arrivato a bordo della sua C3 nera. È sceso e venendomi incontro mi ha detto: 'Tu mi hai graffiato la macchina". Poi, senza darmi il tempo di spiegare, mi ha tirato quattro pugni in faccia vicino all'occhio sinistro. Ho sentito del ferro quando mi colpiva - ha aggiunto toccandosi l'occhio tumefatto - doveva avere degli anelli. Quando sono caduto a terra pensavo che mi avrebbe preso a calci ma invece è scappato via sgommando sulla sua auto. Avrà pensato che fossi morto». Paolo ha 38 anni e una disabilità agli arti che non gli consente di fare sforzi o prendere pesi: «Lavoro part-time in un'impresa di pulizie, la Multiservizi - ha detto - mia moglie è disoccupata e ho una figlia, Tatiana, di due anni e mezzo». «Non ci si comporta così - ha concluso - come gli animali. È assurdo, sembrava una scimmia».

«CHIEDO SCUSA» - «Mi dispiace per quello che ho fatto, sono rammaricato, andrò a chiedere scusa al ragazzo in ospedale». Queste le parole dette dal 25enne al comandante della stazione dei carabinieri di Tor Vergata, secondo quanto riferito dalla sorella dell'uomo aggredito. Il ragazzo è stato individuato e denunciato per lesioni personali aggravate dai carabinieri della Stazione di Tor Vergata. Il ragazzo che abita a Tor Bella Monaca, dove è avvenuta la violenza, è conosciuto alle forze dell'ordine.

«ZONA DIFFICILE» - «Tor Bella Monaca è sicuramente il quartiere più difficile di Roma, per il degrado sociale, ma anche per il degrado ambientale e urbanistico». Così risponde il sindaco della capitale Gianni Alemanno, a margine di una conferenza stampa sul bilancio di metà mandato, a chi lo interpella sull'episodio. «Il nostro obiettivo è una ricostruzione integrale di Tor Bella Monaca, insieme al piano di riqualificazione lanciato dalla Regione Lazio - sottolinea il sindaco - è fondamentale per dare un segnale lì e fare in modo che la stragrande maggioranza degli abitanti, che sono persone civili ed educate, possano realmente rimpossessarsi del loro quartiere».


(CORRIERE.it)
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giovedì 28 ottobre 2010

I NUOVI SPOT DELLA TRECCANI (GUARDA I VIDEO)


Romina e Debora, le due adolescenti che hanno spopolato in rete, vengono omaggiate con una parodia. 'Un calippo e na bira' diventa il nuovo spot dell'enciclopedia Treccani, che è già un successo. Tre sono le varianti della pubblicità, dai titoli profetici del genere coatto: 'Un cruciverba impossibbbile', 'Un menù teribbbile' e 'Una cartolina d'ammmore'. In ogni scena arriva un rappresentante dell'azienda che porge il suo aiuto culturale ed ogni volta le ragazze trovano sempre nuovi usi e consumi dei tomi offerti.








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TORINO, VIDEO MULTE "UN AFFARE DA 2 MILIONI DI EURO"


Nei sogni dell’assessore al Bilancio Passoni (più ancora che in quelli dell’assessore ai Vigili urbani Mangone). È lo «Street Control», quel gioiellino elettronico in dotazione da qualche giorno ai vigili urbani in grado di registrare le targhe delle automobili anche se sfrecciano davanti all’obiettivo.

Funziona da un mese e ha già reso alle casse del Comune quasi un milione e ottocentomila euro. I dati sono stati svelati ieri, a margine della commissione sulla sicurezza tenutasi a Palazzo civico, dall’assessore Domenico Mangone e dal comandante dei Vigili Mauro Famigli. Cifre succulenti, sia dal punto di vista del rispetto del codice sia dei pagamenti arretrati: «Lo Street Control è stato adottato principalmente per riconoscere auto rubate o con ganasce: veicoli che non potrebbero assolutamente circolare e che con questo sistema si riesce finalmente a riconoscere, bloccandole sul serio».

Chissà quanti conducenti dei 55 veicoli sottoposti a fermo amministrativo - e «pizzicati» durante questo primo mese di esercizio dello Street Control - erano davvero a conoscenza del fatto che la loro auto era gravata dalle ganasce fiscali? «L’importante - ha aggiunto ieri Mangone - è che queste vetture siano state anche fisicamente bloccate, perché in caso di incidente non sarebbero coperte dall’assicurazione».

In ogni caso questi 55 signori devono al Comune la cifra non proprio modesta di un milione e 83 mila euro. Magari ciascuno di loro pagherà la propria parte a rate, o magari in un’unica soluzione. L’importante - stavolta per il bilancio comunale e quindi per l’assessore Passoni - è che siano stati individuati, e che l’amministrazione abbia già messo potenzialmente in banca questo incasso. «I 55 veicoli con le ganasce sono stati individuati - ha spiegato ieri il comandante Mauro Famigli - durante 35 uscite per servizio». Insomma, una «cattura» media di due auto gravate dal fermo amministrativo per uscita.

Altro e ancora più remunerativo - in proporzione - discorso, per le infrazioni al codice della strada che si trasformeranno in multe da pagare sull’unghia: «In questo primo mese siamo usciti una ventina di volte - ha aggiunto Famigli - e, nonostante il Comando pubblichi ogni giorno sul sito del Comune, e pure con una settimana di anticipo, i luoghi dove si interverrà, abbiamo staccato 841 multe così ripartite: 397 per la doppia fila e 444 per altre infrazioni, fra cui la comunissima sosta davanti ad un passo carrabile».

Quanto renderanno questi ultimi verbali a Palazzo Civico? Circa 700 mila euro. Che, sommato al milione abbondante che arriverà dalle automobili bloccate dalla ganasce, produce quel milione e 700 mila euro di cui si parlava all’inizio. Cifra destinata ad aumentare con il passare del tempo, dal momento che lo «Street Control» presto verrà utilizzato anche di notte sempre per colpire la sosta selvaggia: «Anche in questo caso, però - conclude l’assessore Mangone - sarà nostra premura avvisare in anticipo i cittadini che interverremo nelle zone della movida: dai Murazzi ai Docks Dora, da San Salvario al Quadrilatero Romano».


(LASTAMPA.it)
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BERLUSCONI E BERTOLASO, VERTICE EMERGENZA RIUFIUTI AD ACERRA


Era stato uno dei temi su cui aveva giocato la campagna elettorale del 2008 e che, dopo la rimozione dei rifiuti dalle strade, aveva più volte citato come elemento di vanto per l'azione del suo governo. L'escalation dell'emergenza rifiuti in Campania costringe ora Silvio Berlusconi a tornare ad occuparsi in prima persona di immondizia e smaltimento. Il presidente del Consiglio è atteso oggi ad Acerra per una riunione con il capo della protezione civile, Guido Bertolaso, e il presidente della giunta regionale, Stefano Caldoro, già ministro del suo precedente governo. L'incontro è previsto presso il termovalorizzatore, l'impianto su cui attualmente poggia buona parte del piano di smaltimento dei rifiuti per l'area napoletana.

L'ACCORDO TRA I SINDACI - Intanto nel vertice di mercoledì tra i sindaci vesuviani e il presidente della provincia Luigi Cesaro è stato concordato lo slittamento di 48 ore della riapertura della discarica Sari di Terzigno. Il sito accoglierà solo i rifiuti dell'area vesuviana e questo dovrebbe scongiurare nuove azioni di protesta violenta, anche perché l'alternativa sarebbe il mantenimento dell'immondizia sulle strade con gravi ripercussioni per la qualità dell'aria e per il rischio di epidemie. Gli stessi sindaci si sono resi disponibili a fare da mediatori e a scortare, se necessario, i camion che porteranno nel sito il pattume raccolto nei loro comuni. Ma solo quello. L'obiettivo è far funzionare la discarica al servizio dei 18 comuni della zona rossa, in attesa della realizzazione dei termovalorizzatori e per evitare l'apertura della seconda discarica, in Cava Vitiello, sempre a Terzigno.

TREGUA A TERZIGNO - Sul fronte della resistenza alla rotonda di via Panoramica, dopo due notti di tregua, la guardia resta alta. E nel corso di una conferenza stampa l'avvocato Liana Nesta, coordinatore del legal team che rappresenta i movimenti per la difesa del territorio, ha respinto ogni collegamento tra gli arrestati per le proteste di questi giorni e la camorra. «L'interesse che hanno i comitati sono confliggenti con la camorra. Noi vogliamo la chiusura delle discariche, la camorra vuole le discariche perchè guadagna con il conferimento indifferenziato di rifiuti».


(CORRIERE.it)
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SPATUZZA RICONOSCE UNO 007 NELLA STRAGE DI VIA D'AMELIO


C'era un uomo estraneo a Cosa Nostra nel garage in cui si preparava l'autobomba che avrebbe ucciso il giudice Paolo Borsellino in via D'Amelio. Un uomo che, secondo il pentito di mafia Gaspare Spatuzza, somiglia a Lorenzo Narracci, funzionario dei servizi segreti attualmente in servizio all'Aisi. Spatuzza lo ha indicato per due volte: prima in foto, poi, oggi, in un confronto all'americana presso la Dia di Caltanissetta. La procura raccomanda prudenza, sottolineando che il pentito non ha potuto dirsi certo "al cento per cento" che Narracci e l'estraneo che vide nel garage nel '92 siano la stessa persona. Ma Salvatore Borsellino, fratello del magistrato ucciso, dichiara che "forse oggi siamo a un passo dalla verità".

Il riconoscimento di Spatuzza. In un confronto all'americana, a Spatuzza sono state mostrate più persone simili di aspetto, dietro a un vetro. Tra queste il funzionario dei servizi. E il pentito non avrebbe avuto esitazioni nel riconoscere in Narracci lo stesso individuo mostratogli in foto nei mesi scorsi e da lui allora indicato come somigliante "alla persona estranea a Cosa nostra" che era nel garage dove fu imbottita di tritolo l'auto usata per la strage di via D'Amelio. Ma, ha affermato Spatuzza, secondo quanto si è appreso successivamente, di non essere certo al 100 per cento che si tratti della stessa persona presente ai preparativi dell'eccidio, pur ribadendo la somiglianza tra i due.

Lo 007 già indagato per via D'Amelio. Narracci, ex funzionario del Sisde tuttora in servizio all'Agenzia per la sicurezza interna (Aisi), è già indagato dalla procura di Caltanissetta nell'ambito dell'inchiesta sulla strage del '92 in via D' Amelio a Palermo in cui vennero fatti saltare in aria con un'autombomba il procuratore aggiunto Paolo Borsellino e cinque poliziotti di scorta. Il funzionario, dopo la notizia del suo coinvolgimento nell'inchiesta, è stato allontanato dal suo precedente incarico e destinato ad altri compiti all'interno dell'Aisi.

Alla Dia Narracci è stato riconosciuto anche da Massimo Ciancimino, figlio di Vito, ex sindaco di Palermo colluso con la mafia, che da mesi racconta ai magistrati i retroscena sulla cosiddetta 'trattativa' tra lo Stato e Cosa nostra. Per Massimo Ciancimino, Narracci è "l'uomo che in un'occasione incontrò il padre nella sua abitazione". Oltre alla "ricognizione", tra Ciancimino e l'agente c'è stato anche un confronto: Narracci ha negato di avere mai visto Ciancimino e suo padre.

Ma di Lorenzo Narracci si sarebbe parlato anche in una delle ultime sedute del Copasir. Il 13 ottobre, nel corso dell'audizione del direttore dell'Aisi, Giorgio Piccirillo, alcuni componenti del Comitato per la sicurezza della Repubblica avrebbero chiesto la rimozione del funzionario e in particolare dall'Aisi. Una rimozione già sollecitata precedentemente, quando a inizio luglio il comitato affrontò il caso di fronte al direttore del Dis, Gianni De Gennaro

Salvatore Borsellino: "Nessuno intralci i magistrati". "Da anni sostengo che mio fratello è stato ucciso perché si è messo di traverso alla trattativa tra la mafia e lo Stato. Forse siamo a un passo dalla verità". Così Salvatore Borsellino, fratello del magistrato ucciso nella strage di via D'Amelio. "Speriamo che nessuno intralci quei magistrati eccezionali che stanno stanno togliendo il velo per arrivare alla verità: Antonino Ingroia, Nino Di Matteo e Sergio Lari". Borsellino, in qualità di responsabile del movimento delle Agende Rosse, annuncia di aver organizzato per il 20 novembre una manifestazione in quattro città (Palermo, Roma, Firenze e Milano) "per sostenere proprio questi magistrati". "Ho grande paura che possa succedere qualcosa - avverte il fratello di Paolo Borsellino -. Il pericolo può arrivare da quelle stesse persone che hanno messo le bombe in via D'Amelio, e non mi riferisco ai mafiosi. Tutto è legato a quell'infame trattativa tra Stato e mafia".


(REPUBBLICA.it)
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mercoledì 27 ottobre 2010

LICEO DARWIN, MAI SEGNALATI PROBLEMI SUI CONTROSOFFITTI


"In nessuno dei documenti di valutazione dei rischi all'interno della scuola erano stati segnalati i controsoffitti". A sostenerlo è Maria Torelli, ex preside del liceo Darwin di Rivoli, sentita in veste di testimone questa mattina nell'udienza del processo per il crollo del 22 novembre 2008 in cui perse la vita lo studente Vito Scafidi.

La direttrice nella sua deposizione ha descritto l'incarico dei tre responsabili della sicurezza all'interno della scuola che si erano alternati negli ultimi anni, Diego Sigot, Paolo Pieri e Giovanni Truccano e che oggi sono tra i sette imputati del processo. "Nel 2006 - ha raccontato - ho sostituito l'architetto Sigot, docente all'interno dell'istituto, nell'incarico dopo una multa ricevuta dallo Spresal, che aveva rilevato una serie di criticità anche se non nei controsoffitti.

Mi ero affidata all'ingegner Pieri, tecnico esterno con una professionalità più specifica, ma lo avevo sostituito l'anno successivo in quanto seguiva troppe scuole e non avrebbe potuto avere tutta l'attenzione necessaria per la nostra. Per quanto riguarda Sigot il documento di valutazione dei rischi era stato formulato in maniera non esaustiva ed era stato tra i punti contestati dallo Spresal".


(TORINOGGI.it)
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TORINO, LO STRAORDINARIO CASO DEI TRE GEMELLI MONOZIGOTI


Enrica Bonino adesso lo ammette candidamente: «Io e mio marito abbiamo passato un weekend di choc: siamo rimasti seduti sul divano senza quasi riuscire a parlare». Era un sabato di ottobre del 2009, e il loro desiderio di un altro figlio che non arrivava li aveva spinti a chiedere aiuto in un centro per la fecondazione in vitro. Per Enrica e per il marito Mauro Roux mettere al mondo il primo bimbo, Edoardo, che oggi ha 2 anni e mezzo, era già stata un’impresa.

Ma la natura, stavolta, ha cancellato tutti i loro timori e sconvolto i piani: la mattina in cui Enrica avrebbe dovuto sottoporsi al primo trattamento Fivet per dare un fratellino o una sorellina a Edoardo, l’ecografia ha rivelato una gravidanza già in corso. Una gravidanza eccezionale: uno, due, tre embrioni. Oggi si chiamano Emanuele, Federico e Filippo, sono tutti bimbi sanissimi, e la loro nascita straordinaria è raccontata sul numero del mensile di salute Ok in edicola da oggi. Avere un figlio è una gioia infinita, averne tre una rivoluzione. Mauro ed Enrica abitavano a Oulx. Il parto trigemellare è stato un cambiamento radicale, nella loro vita. Tutto è stato stravolto. Hanno anche dovuto trasferirsi a Grugliasco, dove abita la nonna materna dei bimbi, diventata sostegno fondamentale di mamma e papà Roux.

Senza provetta né stimolazione ormonale, Enrica non solo è rimasta incinta, ma l’ovulo fecondato si è «clonato» due volte: Emanuele, Federico e Filippo, nati il 23 giugno scorso, sono gemelli omozigoti, fratellini identici. Un parto rarissimo, «poiché a fronte di circa 16 mila 500 nascite l’anno in Italia - spiega la dottoressa Silvana Arduino, la ginecologa del Sant’Anna che ha seguito Enrica e il suo pancione -, i neonati frutto di parti trigemellari non superano i 350». «Li guardo addormentati nelle loro culle e non riesco a distinguerli», racconta a Ok mamma Enrica. «Riposo» è diventata una parola e un concetto sempre più vaghi, in casa, da quando sono arrivati i gemellini. «Io che avevo avuto così tanti problemi ad avere un figlio, al punto da dover ricorrere alla fecondazione artificiale, non mi sarei mai aspettata una gravidanza naturale».

E’ stata una tempesta di emozioni quando il ginecologo ha spiegato a Enrica che in grembo c’erano tre bimbi. Gioia, certo, ma anche paura. Paura di non farcela. Lei, impiegata in banca (conta di rientrare fra qualche mese), lui, 44 anni, geometra libero professionista. «Ancora oggi - spiega la dottoressa Arduino - la scienza non sa spiegare quale sia il meccanismo che porta allo sdoppiamento o alla triplicazione di una cellula uovo fecondata, nel caso di gemelli monozigoti». Ma per mamma Enrica ciò che conta è questo «miracolo» della vita: «Vedevo il mio corpo crescere a dismisura, ma ero felice». Dopo 34 settimane e 4 giorni Emanuele, Federico e Filippo sono venuti al mondo grazie a un parto cesareo.

Racconta ancora Enrica Bonino: «I miei bimbi sono piuttosto bravi, ma sono comunque tre. Significa, ogni giorno, «cambiare più di venti pannolini, preparare almeno sei vestitini, fare una lavatrice. Ma anche essere sempre pronti con fazzoletti, straccio e spazzolone. E bisogna sempre essere in due, perché mentre faccio il bagnetto a Filippo, qualcuno deve stare con Emanuele e Federico, o viceversa». All’inizio tutto ciò ha significato stanchezza e sconforto, «poi la consapevolezza e l’orgoglio per il grande dono ricevuto hanno prevalso su qualsiasi altro stato d’animo».


(LASTAMPA.it)
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INDONESIA, LO TSUNAMI FA OLTRE 100 MORTI E ALTRETTANTI DISPERSI


Un terremoto seguito da uno tsunami che ha causato oltre 100 morti e 500 dispersi, e poi un'eruzione vulcanica che ha già costretto migliaia di persone all'evacuazione, minacciando di intensificarsi nei prossimi giorni. Nel giro di 24 ore, l'Indonesia si ritrova a contare le vittime di un doppio disastro naturale e a ricordare la sua posizione geografica particolarmente esposta ai sommovimenti del sottosuolo.

TERREMOTO - È di almeno 108 morti il bilancio del terremoto di 7,7 gradi Richter seguito da uno tsunsami che lunedì ha colpito l'arcipelago delle Mentawai al largo di Sumatra. Il sisma ha scatenato onde alte fino a tre mesi, che hanno travolto almeno una decina di villaggi. Centinaia i dispersi, tra cui anche un gruppo composto da una decina di surfisti australiani (poi tratti in salvo). Il sisma è avvenuto alle 21,42 (le 16,42 in Italia) a una profondità di 20 km con epicentro a circa 240 km dalla città di Bengkulu. Nelle isole Pagai e Sibigau sono arrive onde altre tre metri che sono penetrate per 600 metri nell'entroterra. Circa 3 mila persone hanno cercato rifugio nei campi di emergenza. «Delle 200 persone che vivevano nel villaggio costiero di Betu Monga, solo 40 sono state ritrovate, 160 sono ancora disperse, in gran parte donne e bambini», ha detto il capo del governo regionale della zona colpita, aggiungendo che l'80% delle case sono danneggiate e scarseggia il cibo. Come previsto dai geologi, dopo il sisma di 9,1 Richter che causò lo spaventoso terremoto del 26 dicembre 2004, sta proseguendo l'avanzata della placca asiatica nei confronti di quella indo-australiana (che di conseguenza subduce sotto la prima) con spostamento verso sud-est degli epicentri dei terremoti. Infatti rispetto alla scossa di Santo Stefano avvenuta a Sumatra al largo dell'isola Nias, c'è stata una progressiva migrazione a sud-est delle scosse con quelle del 28 marzo 2005 (8,6 gradi, oltre 1.300 morti), del 12 settembre 2007 (8,5), del 30 settembre 2009 presso Padang (7,5 gradi, oltre 1.100 vittime) e quella di lunedì.

VULCANO - Il vulcano Merapi a Giava è entrato in eruzione nel primo pomeriggio di martedì (ora italiana) e ha già causato la morte di un bambino di tre mesi oltre a una ventina di feriti a causa delle ceneri incandescenti che ricadono nella zona circostante. Circa 20 mila persone sono state evacuate nelle ultime 24 ore. Il Merapi all'alba aveva iniziato a eruttare cenere dai crateri minori. «L'energia continua a crescere. Speriamo si plachi, altrimenti rischiamo un'eruzione di proporzioni che non vediamo da anni», ha detto il vulcanologo Surono. Le autorità hanno avvertito altre 11.400 persone di prepararsi a una «urgente evacuazione».


(CORRIERE.it)
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PORTAVOCE DEL PDL CAPEZZONE AGGREDITO IN STRADA


Daniele Capezzone, portavoce nazionale del Pdl, è stato aggredito a pochi metri dalla sede di via dell'Umiltà da uno sconosciuto, che gli ha sferrato un pugno al viso e poi si è dileguato. Capezzone è stato subito soccorso e portato via in ambulanza. «Si tratta di un fatto gravissimo, sintomo di un clima avvelenato e di tensione che condanniamo», dice Fontana. Raggiunto telefonicamente, il portavoce del partito ha spiegato: «Sto meglio ma scusate. Ora voglio solo riposare». Il deputato ha riportato una contusione al volto, ma si escludono danni più gravi, fratture facciali o ematomi.

INDAGINI - Sulla vicenda indagano gli agenti della Digos e della questura di Roma Sono al vaglio degli investigatori le immagini registrate da alcune telecamere in via dell' Umiltà a Roma, per individuare l'aggressore che in serata ha colpito con due pugni il portavoce del Pdl, Daniele Capezzone. Gli inquirenti hanno già ascoltato il racconto di Capezzone, e stanno ora cercando di capire se l'aggressore fosse da solo, oppure ci fosse qualcuno ad aspettarlo in strada e se possa essersi trattato di un gesto estemporaneo o premeditato.

IL TESTIMONE - Ci sarebbe anche un testimone di quanto accaduto: il cameriere del ristorante in via dell'Umiltà, che ha assistito ai primi istanti subito dopo l'aggressione. «Ho sentito il rumore di un bicchiere che cadeva. Erano le 18.45, mi sono affacciato fuori dal ristorante e ho visto sulla mia destra un uomo che scappava in direzione del Quirinale o della Fontana di Trevi: era alto circa 1 metro e 70, aveva una giacca grigia e un giornale in mano, ma era di spalle. Alla mia sinistra, a due metri, c'era l'onorevole Capezzone che veniva verso di me con la mano sulla guancia e un orecchio rosso dicendomi 'mi ha colpito. Hai visto cosa mi ha fatto?'». «Capezzone è subito andato a chiamare una pattuglia della polizia che sosta qui vicino, poi è tornato qui - ha proseguito il testimone - l'ho visto scosso e gli ho chiesto di sedersi offrendogli un tè. A quell'ora c'è sempre un via vai di gente che passeggia. A 20 minuti dall'aggressione Capezzone è andato via con gli agenti».


(CORRIERE.it)
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martedì 26 ottobre 2010

MARITO GELOSO, "SCRIVI SUL DIARIO TUTTO CIO' CHE FAI"


Undici anni di matrimonio: undici anni di inferno. Controllata peggio che in carcere, costretta a subire il giudizio severo di un marito diffidente, le sue minacce, le sue continue violenze e scenate. Era un coniuge talmente geloso al punto che la obbligava a tenere un diario per aggiornarlo su tutto quello che faceva durante la giornata, e la sera poi lui le dava i voti, come a scuola, su come avesse portato a termine le faccende domestiche. Un calvario che è emerso in un'aula del tribunale, dove si discute il processo nei confronti di un torinese, Roberto F., 42 anni, agente di commercio, accusato dal pm Livia Locci di maltrattamenti, molestie, violenza privata.

Si erano uniti in matrimonio nel 1998, e da subito il rapporto non era stato dei più semplici. La moglie, che lavora in banca, all'inizio credeva che un po' di gelosia da parte del marito fosse un segno di amore nei suoi confronti. Roberto era sempre in giro per lavoro e così voleva sapere cosa facesse durante le sue giornate. Ma dopo poco l'insicurezza dell'uomo prese a diventare patologica. Ogni tanto la controllava a sorpresa, le mandava messaggini per sapere perché si trovasse in un posto e non in un altro. E allora fioccavano gli insulti, specie per le origini del sud della donna, alimentate da una forte ostilità mostrata dal marito nei confronti dei suoceri. Non voleva che lei incontrasse il padre, se doveva telefonare alla madre doveva chiedergli il permesso, ma una volta soltanto al giorno.

Ben presto il marito cominciò a pretendere che la donna tenesse un diario: un'agenda in cui ora per ora, giorno per giorno doveva segnare tutto ciò che faceva. "Ore nove: sono andata in banca. Ore 13: pausa pranzo a casa. Ore 17: esco dal lavoro, vado da mia sorella" e così via. A casa poi le torture psicologiche continuavano, lui appendeva biglietti nelle stanze per ricordarle cosa fare: lavare i piatti, stirare le camicie, pulire il pavimento, e così via. E quando rientrava la sera arrivavano i giudizi, con tanto di pagella finale. "È stato terribile" ha detto in aula la donna, assistita dall'avvocato Enrica Goffi.

Dal matrimonio era nata anche una figlia e le scenate di gelosia, secondo l'accusa, non si fermavano neanche di fronte alla bambina. Se qualcosa non andava, lui si svegliava alle due di notte, urlava, strepitava, e costringeva la donna a restare sveglia sino all'alba. Nel 2009 lei aveva trovato il coraggio di chiedere la separazione; l'uomo a quel punto aveva cominciato a mandarle messaggi ed e-mail minacciose, chiedendole di tornare e costringendola a leggere le sue missive altrimenti non le avrebbe più fatto vedere la figlia. Il processo è fissato per oggi: il giudice Gianetti e il vpo (il viceprocuratore onorario che sostituisce il pm in udienza) Manuela Bellini ascolteranno i vicini di casa come testimoni di una difficilissima vita di coppia.


(REPUBBLICA.it)
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TERZIGNO, INDAGA L'ANTIMAFIA, POSSIBILI INFILTRAZIONI CAMORRA


«Bisogna continuare a lavorare per raggiungere i risultati e gli obiettivi che ci si è posti con l'accordo». È l'indicazione giunta da Silvio Berlusconi, secondo quanto riferito dalla Protezione Civile, nel corso di una telefonata fatta dal presidente del Consiglio alla prefettura a Napoli nel corso di un vertice sull'emergenza rifiuti. E cresce il timore di infiltrazioni camorristiche nelle proteste.

BERTOLASO - «L'apertura di una nuova discarica non è vicina, nel modo più assoluto, non è immediata». Lo ha detto il capo della Protezione civile, Guido Bertolaso al suo arrivo nella prefettura napoletana. «Con la situazione attuale si va avanti fino alla prossima primavera, all'estate». La «situazione attuale» sarebbe lo smaltimento mediante il termovalorizzatore di Acerra e la discarica di Chiaiano. «Il dopo - ha precisato - dovrà essere portato avanti dalle autorità locali, io sono qui per dare una mano. Nella legge sono indicate altre località - ha detto ancora - c'è un ampio margine per trovare alternative».

ACCORDO - Bertolaso ha comunque intenzione di procedere al rispetto unilaterale del documento preparato venerdì sera in prefettura a Napoli, prima condiviso e poi ripudiato dai sindaci interessati, a seguito delle pressioni delle comunità di Terzigno e Boscoreale contrarie all’apertura di una nuova discarica. I prelievi e la bonifica di cava Sari saranno dunque completati come annunciato. Ma al termine dei tre giorni di moratoria indicati dal capo della Protezione civile, tra martedì e mercoledì prossimi, riprenderà lo sversamento dei rifiuti nella discarica. A questo proposito, secondo voci non ancora confermate, già nelle prossime ore potrebbero arrivare camion con terreno vegetale per la copertura dei rifiuti e la preparazione al nuovo sversamento. «Auspico un ripensamento dei sindaci - ha dichiarato Bertolaso -, ho detto che avremmo dato seguito unilateralmente al documento e sono convinto che, dopo questa dimostrazione di serietà, pacatezza e saggezza, si troverà l'accordo. Se i sindaci dei paesi vesuviani vengono qui sono benvenuti. In questo momento alcuni sono a Terzigno con i nostri tecnici, altri sono qui a lavorare con noi».

MARONI - Intanto però tiene banco la questione sicurezza. Dopo l'assalto a due pattuglie della polizia, il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, alza i toni. «A Terzigno - ha detto - ci sono stati atti di vera e propria violenza nei confronti delle forze dell'ordine e questo non è più accettabile: per cui faccio un invito a tutti a deporre le armi, altrimenti credo che sarà necessario intervenire in modo più duro di quanto non si sia fatto finora» . Il capo del Viminale ha sottolineato che «le forze dell'ordine si stanno comportando con grande prudenza e grande responsabilità» e che «attaccarle di notte a sprangate e a sassate mi sembra non sia degno di un confronto duro ma responsabile». E ancora: «Le indagini devono capire chi sono questi gruppi di violenti: io credo che nulla abbiano a che fare con la protesta se non per strumentalizzare, creare incidenti e disordini, farci scappare il morto: noi non lo consentiremo e stiamo verificando se c'è qualche collegamento tra questi gruppi e le associazioni criminali».

CAMORRA - Maroni ha precisato che a suo parere i cittadini che scendono in piazza «non sono camorristi come qualcuno ha detto, ma c'è la rivolta di un paese che non vuole la discarica e poi ci sono gruppi di violenti che se la prendono con la polizia». Ma in serata le parole del ministro sono scavalcate dalla Direzione distrettuale antimafia. La Dda della procura di Napoli, infatti, ha aperto un fascicolo su probabili infiltrazioni della camorra. Le ipotesi di reato, a quanto di è appreso, si riferiscono a danneggiamenti, resistenza a pubblico ufficiale, detenzione di armi, interruzione di pubblico servizio aggravati dal metodo e dalla finalità mafiosi. L'inchiesta è coordinata dal procuratore aggiunto di Napoli Rosario Cantelmo. Secondo indiscrezione, gli inquirenti avrebbero raccolto elementi relativi a infiltrazioni camorristiche soprattutto in riferimento agli ultimi episodi di scontri con le forze dell'ordine.

LA RUSSA: PRONTO L'ESERCITO - Dal canto suo il ministro della Difesa Ignazio La Russa si è detto pronto è pronto a un ulteriore impegno dei militari per affrontare l'emergenza rifiuti qualora il governo dovesse richiederlo. Il ministro ha ricordato come i militari siano «già in Campania. Ce n'erano 700 all'inizio dell'emergenza - ha detto - ne sono rimasti 270. Se il governo ritenesse di chiedere un intervento delle forze armate in numero superiore, noi siamo pronti». La Russa non ha comunque mancato di rilevare che «non c'è bisogno dell'esercito per utilizzare il pugno più duro. Polizia e Carabineri sanno essere adeguati a ogni esigenza senza mai travalicare il diritto».

L'ASSALTO ALLE PATTUGLIE - Le parole dei due ministri sono arrivate dopo la prima notte senza scontri di massa a Terzigno, ma caratterizzata comunque da un nuovo episodio di violenza. Due pattuglie della polizia sono state aggredite infatti nel centro di Boscoreale da alcuni sconosciuti. Un agente è rimasto ferito a un occhio. Tre persone sono state fermate con l'accusa di resistenza a pubblico ufficiale, lesioni e violenza. I poliziotti erano a bordo di due autocivette riconosciute dai teppisti. L'aggressione è avvenuta lontano dalla rotonda Panoramica, diventata il quartier generale dei manifestanti. Secondo quanto si è appreso, le due pattuglie di agenti in abiti civili si trovavano lungo una delle strade del centro di Boscoreale, quando sono state accerchiate da un gruppo di persone, in prevalenza giovani, che hanno iniziato ad aggredire i poliziotti. Sul posto sono giunti rinforzi. In via Zabatta, invece, l'accesso alla contestata seconda discarica è stato sempre presidiato da centinaia di agenti in assetto antisommossa.

MANIFESTAZIONE PACIFICA - Comunque sia, a manifestare invece il proprio dissenso in nottata a Terzigno nel tradizionale assembramento alla rotonda di via Panoramica c’era solo tanta gente comune. Pacifica, ma non meno decisa a mantenere un presidio a oltranza, fino alla rinuncia per decreto, da parte del governo, alla discarica di cava Vitiello. I «falchi» della protesta, insomma, hanno deciso di non cedere alla tentazione del compromesso, giudicando positiva l’apertura di un tavolo tecnico ma ponendo una condizione irrinunciabile: occorre revocare con un decreto la legge 123 che stabilisce l’apertura della seconda discarica nel paese campano, dopo quella di cava Sari. Un impegno formale che Bertolaso, per il momento, non è in grado di poter garantire.


(CORRIERE.it)
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MARCHIONNE, SCONTRO SU LAVORO E EFFICIENZA


Il giorno dopo, l’eco delle parole dell’ad di Fiat-Chrysler Sergio Marchionne - ospite domenica di Fabio Fazio a «Che tempo che fa» (record di ascolti: quasi 5 milioni di telespettatori, 17,63% di share) - non si è spenta. Anzi.

Il presidente della Camera, Gianfranco Fini, boccia la frase del manager sulla Fiat «che senza l’Italia farebbe meglio». «È paradossale che lo dica lui, perché se la Fiat è un grande colosso lo deve al fatto che è stato per grandissimo tempo il contribuente italiano a impedire alla Fiat di non affondare». «Si dimostra - dice Fini - più canadese che italiano». Anche il leader Pd, Pierluigi Bersani prende le distanze. «Esiste un problema dell’auto, ma dipende da quale modello abbiamo in testa. Ci vogliono regole universali sul lavoro altrimenti diventiamo cinesi anche noi. Dobbiamo avere in testa l'Europa e per farlo serve un patto sociale».

Non è d’accordo il sindaco Pd di Torino, Sergio Chiamparino: «I dati di cui parla Marchionne sono incontestabili. Di fronte al problema della competitività («L’Italia è al 48° posto per la competitività del sistema industriale» ha detto il numero uno del Lingotto, ndr.) non si possono chiudere gli occhi». Sempre da Torino, parla di «messaggio di dialogo» di Marchionne il cardinale Severino Poletto, e guarda avanti il governatore leghista del Piemonte, Roberto Cota: «Lavoro perchè quanto previsto da Fabbrica Italia si possa realizzare». Il leader Udc Pier Ferdinando Casini invita a «rendersi conto della realtà, altrimenti la Fiat chiude le saracinesche delle fabbriche e va in Serbia. Marchionne dice cose sacrosante. Sono state «parole offensive e indegne», invece, per il leader Idv Antonio Di Pietro.

Le voci del governo. «Denuncia ruvida», dice da «Porta a Porta» il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi. «Penso sia anche un po’ di tattica per chiedere alle parti sociali di ripristinare le condizioni per una maggiore produttività e competitività, con alcune premesse però non condivisibili». I dati sulla competitività? «Un ranking non credibile visto il peso delle nostre Pmi». Invita a riflettere «sui problemi veri» posti dall’ad di Fiat-Chrysler il ministro della Cultura Sandro Bondi, mentre il ministro degli Esteri Franco Frattini sottolinea che «gli investimenti che Marchionne ha appena confermato in Italia vogliono dire che all’Italia ci crede» e ribadisce la necessità di una maggiore flessibilità. «Marchionne fa bene a rilanciare la sfida su produttività e salari e insistere sulla necessità di modelli contrattuali più moderni» dice il ministro per le Politiche Europee, Andrea Ronchi. Rimanda al 4 novembre, quando vedrà il manager, il ministro per lo Sviluppo Economico, Paolo Romani.

Diviso anche il sindacato. «Se si produce meno e con tanta cassa integrazione è difficile fare utili» commenta il leader Cgil Guglielmo Epifani. «La Ferrari e la Sevel dove sono, in Lussemburgo? Mi pare facciano utili» attacca il segretario generale Fiom, Maurizio Landini. «Marchionne deve chiarire una volta per tutte quale sia la reale intenzione della Fiat. Se vuole invertire il rapporto tra la quantità di auto prodotte all'estero in Italia deve smetterla di fare dichiarazioni che sono la negazione di ciò» afferma il leader Uilm, Rocco Palombella. Per il segretario generale Cisl, Raffaele Bonanni, le parole dell’ad hanno «colto nel segno. Appena ha annunciato che voleva investire in Italia dovevamo suonare le campane: le abbiamo suonate a morto». «Marchionne non vuole lasciare l’Italia, anzi mi sembra che voglia continuare ad investire nel Paese per tornare ai livelli di competitività di una volta», commenta il vicepresidente di Confindustria, Alberto Bombassei.


(LASTAMPA.it)
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FINI, POSSIBILE CRISI DI GOVERNO SUL TEMA GIUSTIZIA


"Mi auguro che sul tema giustizia non ci siano questioni insormontabili e che non ne scaturisca una crisi di governo, ma su alcune questioni che la riguardano, questa possibilità c'è". Lo ha detto il presidente della Camera Gianfranco Fini parlando del nodo giustizia durante un'intervista all'emittente televisiva Antennatre Nordest, che ne ha anticipato alcuni passaggi. Ma intanto, a parlare, è anche il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, che affronta un'altra questione che agita le acque interne alla maggioranza: la reiterabilità del Lodo Alfano, dice, "non mi pare una questione su cui vive o muore questo disegno di legge", dice, rispondendo a una domanda in merito alla riproposizione del Lodo, domani in commissione Affari costituzionali al Senato.

Fini: "Magistratura non dev'essere sottoposta a potere esecutivo". Noi non crediamo che si possa o si debba riformare la giustizia punendo la magistratura - ha sottolineato il presidente della Camera nell'intervista che andrà in onda domani mattina - la magistratura non deve essere sottoposta, uso questa espressione, ad altri poteri e quindi nemmeno a quello esecutivo. Questo è un rischio concreto. Mi auguro non si concretizzi".

Il riferimento è alla bozza sulla quale i finiani hanno già espresso le loro contrarietà. In particolare su tre punti: composizione del Csm, poteri del ministro della Giustizia e "collocazione" della polizia giudiziaria. Sul Lodo Alfano l'ex confondatore del Pdl ribadisce di non aver cambiato opinione: "Deve servire a tutelare una funzione, e non una persona. Non vedo come, se il PdL non dovesse cambiare idea, Berlusconi possa prendere questa questione come pretesto per fare una crisi di governo". Un modo per dire che non accetta la reiterabilità prima di concludere con una frase già ripetuta più volte: "La legge deve essere uguale per tutti, piaccio o no".

Nuovo scontro nel centrodestra. Le parole del presidente della Camera giungono dopo una giornata che ha segnato un'altra tappa sulla rotta di collisione fra le due anime del centrodestra, soprattutto in materia di governo tecnico e Lodo Alfano. Ieri Italo Bocchino aveva aperto a un governo tecnico per riformare la legge elettorale. Oggi il capogruppo del Pdl alla Camera, Fabrizio Cicchitto, ha reagito: "Non si può stare in una maggioranza e nello stesso tempo prepararne un'altra. Anche perché questa posizione non è condivisa da un'area del Fli".

Bocchino ha però controreplicato: "Prima di occuparsi delle aree di Futuro e libertà, Cicchitto si preoccupi delle innumerevoli correnti e correntine interne al Pdl. Noi saremo leali con gli elettori". E subito dopo è un altro finiano, Carmelo Briguglio, ad aprire un nuovo fronte di tensione: "La stragrande maggioranza degli elettori finiani, se si arrivasse al referendum, voterebbe contro il Lodo". Secca la replica, ancora di Cicchitto: "Briguglio non fa testo. La maggioranza di governo considera il Lodo come una cosa da fare. La reiterabilità è nella logica del provvedimento". Un invito alla tregua anche dal presidente della commissione Affari costituzionali del Senato che sta esaminando il ddl, Carlo Vizzini: "Convochiamo un tavolo, la maggioranza si siede e cerchiamo una soluzione".

Dal fronte dell'opposizione, il leader dell'Udc Pier Ferdinando Casini dice no alla "reiterabilià", pur riconoscendo nel Lodo "uno strumento per superare le frizione tra politica e magistratura. Non deve però essere carito di pesi eccessivi". A partire dalla reiterabilità. Ma il ministro Rotondi insiste: "Al Lodo non rinunciamo".


(REPUBBLICA.it)
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lunedì 25 ottobre 2010

TORINO, MORTI BIANCHE , GLI ALBANESI VALGONO MENO


Sentenza shock del Tribunale di Torino che, dopo la morte di un operaio albanese, ha stabilito un risarcimento "equilibrato al reale valore del denaro nell'economia del Paese dove risiedono i danneggiati". Ai genitori dell'uomo deceduto sono dunque stati pagati 64mila euro. Se l'operaio fosse stato italiano alla famiglia sarebbero stati riconosciuti fino a 300mila euro. Nel mondo del lavoro, con il numero di stranieri sempre più alto, è polemica.

Il giudice civile, Ombretta Salvetti, come riporta la Repubblica, si è rifatta ad una sentenza della Cassazione di dieci anni fa. Considerando che al defunto è stato addebitato il 20% del concorso di colpa nella propria morte e che i familiari dell'uomo vivono in Albania, "un'area ad economia depressa", fare il conto del dovuto è semplice: un risarcimento dieci volte inferiore.

Per gli italiani invece ci sono le nuove tabelle, in uso al Tribunale già dall'estate del 2009. Tra gli avvocati che si occupano di diritto civile la prima ad aprire il dibattito è l'avvocato Sandra Gracis. "In base a questo criterio del Tribunale torinese - spiega il legale al quotidiano di Ezio Mauro - converrebbe agli imprenditori assumere lavoratori provenienti da Paesi poveri, perché, laddove muoiano nel cantiere, costa di meno risarcire i loro congiunti".

Di contro c'è da valutare la possibilità che il dipendente possa essere originario di un paese come il Principato di Monaco o gli Emirati Arabi. Seguendo il principio il risarcimento in questi casi potrebbe essere doppio se non triplo rispetto a quello riconosciuto ad un connazionale.

E' del 2006 la sentenza della Cassazione con cui si era stabilito che "conta la morte in sé, ed una valutazione equa del danno morale che non discrimina la persona e le vittime né per lo stato sociale, né per il luogo occasionale della morte".


(TGCOM.MEDIASET.it)
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GABANELLI ALL'ATTACCO DELL'ASCESA DI TREMONTI


Stavolta è toccato alla Finanziaria, ai tagli, ai conti pubblici, ma anche all’ascesa di Giulio Tremonti a super ministro dell’Economia italiana. Dopo gli investimenti a Antigua di Silvio Berlusconi, stavolta la giornalista Milena Gabanelli nella sua seconda puntata di «Report» ha messo sotto la lente di ingrandimento la manovra economica varata dal governo, ma anche le parcelle milionarie elargite dalla Bell del finanziere Emilio (Chicco) Gnutti all’ex studio di Giulio Tremonti (oggi Studio Vitali, Romagnoli, Piccardi) per il contenzioso con il fisco italiano sui ricavi della vendita di Telecom. Insomma, dice la Gabanelli aprendo la puntata «vediamo come si è deciso di tagliare, e come si farà. Ma visto che il ministro Tremonti ha un passato da tributarista, certo saprà dove si nascondono le insidie».

Si parte dai 25 miliardi di tagli (Polizia, Vigili urbani) alla sanità (spesa sanitaria, farmaci, medici e infermieri), alla scuola, per spiegare come 50 milioni di questi siano, invece, finiti a ristrutturazioni di Chiese, associazioni, alla scuola padana Bosina (100 mila euro). Dunque, dossier, riscontri, interviste.
Ma anche tesi finalizzate a voler dimostrare come il ministro dell’Economia (da sette anni su 10 al governo) sia ancora - almeno secondo le ricostruzioni di "Report" - parte attiva del noto studio tributarista, nonostante le lettere di smentita e di diffida inviate dai legali ai piani alti di viale Mazzini. Diffide, dunque, che come nel caso dell’avvocato del premier, Niccolò Ghedini sul caso Antigua non hanno mutato la sostanza dell’inchiesta. Un’inchiesta nello stile di "Report", per la quale la giornalista aveva chiesto un’intervista al ministro Tremonti, ma che non è stata concessa.

Tensione, quindi, alle stelle. Non foss’altro perché il ministro Tremonti è anche l’azionista (in quanto Tesoro) della Rai che indica 2 su 9 consiglieri di viale Mazzini (uno di questi sarà nominato presidente della Tv pubblica) ma anche il direttore generale, che poi dovrà essere votato dal cda a maggioranza. Insomma, nella mani del Tesoro c’è la Rai. Tant’è che nei giorni scorsi sono giunte due lettere di studi legali a Viale Mazzini, che lo stesso direttore generale, Mauro Masi ha girato anche al direttore di Raitre, Paolo Ruffini.

E così, c’è già chi pensa al dopo puntata. Cosa accadrà? Di certo nelle stanze di viale Mazzini c’è chi fa notare che dopo le richieste di danni avanzate dagli avvocati del premier, ora potrebbe esplodere la grana Tremonti. Per questo al settimo piano c’è chi già grida: «Ma chi paga i danni?». E riemerge l’opzione, del ritiro della "tutela legale" per Milena Gabanelli. Non solo, c’è già chi a sostegno della tesi riapre le pratiche sulle richieste risarcitorie in ballo nei confronti della Rai. Tra queste, quella della compagnia telefonica "Tre" (comprensiva di altri soggetti) pendente in Tribunale (sentenza prevista per il prossimo maggio 2011) per una richiesta di risarcimento record: 80 milioni di euro.

Una cifra che a molti in viale Mazzini toglie il sonno. Al punto che qualcuno auspica una transazione. Transazione, che secondo alcune correnti di pensiero interne porterebbe, però, ad azzerare alcune pendenze dell’operatore telefonico nei confronti della Rai per svariati milioni di euro.

Rai, dunque, al centro dello scontro. Non solo interno ma anche politico. Tant’è che se per il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani «la Rai sempre sul lettino dello psicanalista», per il sottosegretario alla Presidenza Paolo Bonaiuti, «la colpa è di decenni di dominio assoluto della sinistra».


(LASTAMPA.it)
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