domenica 12 giugno 2011

"TUTTI MI ODIANO", SI IMPICCA IN CARCERE A 18 ANNI


TORINO - Il fatto di cronaca nudo e crudo racconta di un diciottenne marocchino che tenta di uccidersi in carcere, impiccandosi con i lacci delle scarpe alla finestra del bagno. Il quarto caso in un mese. Gli altri tre detenuti sono morti. Aziz è in fin di vita all’ospedale Maria Vittoria.

Poi c’è tutto il resto. A partire dalla disperata richiesta di aiuto, in una lettera allo zio spedita dalle Vallette il giorno prima di impiccarsi. Fino all’ultimo colloquio con lo psicologo del carcere «proprio 5 minuti prima del gesto estremo» come spiegano dalla casa circondariale «Lorusso e Cutugno».

«Non ce la faccio più a stare qua dentro perché tutti mi odiano e mi vogliono fare del male» scrive il maghrebino, da 12 anni a Torino. Per ironia della sorte, l’altro ieri il Tribunale della libertà ha autorizzato la scarcerazione, negata lo scorso 25 maggio. E ora la madre del ragazzo, Fnine Aicha - 44 anni, ex badante disoccupata - si chiede «com’è possibile che nessuno si sia accorto della sofferenza di mio figlio. Nella lettera dice che lo trattavano male e che lo odiavano. Perché nessuno lo ha aiutato? Aziz è un bravo ragazzo, non deve morire così senza un senso».

Il diciottenne, assistito dall’avvocato Alessandro Gasparini, è stato arrestato il 5 maggio per 20 grammi di hashish e resistenza a pubblico ufficiale. Ma su di lui c’è anche una denuncia a piede libero per violenza sessuale a causa dei rapporti con due minorenni romene di 13 e 17 anni. La più grande era la sua ragazza e, a quanto pare entrambe erano consenzienti. Ma per la legge sotto i 14 anni, nonostante l’assenza di denunce, si procede per violenza.

E’ forse per questa accusa - che viola il codice d’onore interno alle prigioni - che Aziz era «odiato» dietro le sbarre? O forse il suo disagio interiore nasce da altri fattori? «Sono in una situazione di m... - si legge nella lettera -, mi sono rovinato la mano e non voglio farmi del male. Zio ti prego aiutami, nel nome di tuo nonno e di tuo padre. So che prima ho fatto cose brutte: mi hanno trovato ubriaco, con l’hashish e 500 euro. Mi hanno preso i soldi e pure il telefono e dicono che mi sono picchiato con loro. Pure la madre della mia ragazza mi ha denunciato. Aiutami ad uscire». Il direttore Pietro Buffa ha attuato da tempo un progetto di monitoraggio dei detenuti più fragili e Aziz era sottoposto ad un regime di «grande sorveglianza». Compresi gli incontri periodici con lo psicologo.

Ma non è bastato. Fnine Aicha, già in lutto per la morte del padre, non smette di piangere: «Mio figlio aveva bisogno di aiuto e non l’ha avuto». Leo Beneduci, segretario del sindacato della polizia penitenziaria parla di «una strage continua: occorre incrementare l’organico». Aziz, intanto, è ancora in coma. E chissà se si sveglierà.


La Stampa

0 commenti:

Posta un commento