TORINO - Cadde dalla barella su cui era stato lasciato per tutta la notte, per mancanza di letti vuoti: in pronto soccorso, alle Molinette, avevano riscontrato un’emiparesi in atto e diagnosticato un’emorragia cerebrale interna, dopodiché ne avevano disposto il ricovero in neurochirurgia B, «in osservazione», in vista di un’operazione per rimuovere l’ematoma provocato da una caduta in montagna. Saverio Peirone, 67 anni, professore universitario in pensione (insegnava anatomia a Veterinaria), morì sei giorni dopo.
In tribunale si sta facendo il processo ad una delle due infermiere accusate di non aver vigilato mentre stavano lavando il paziente (l’altra ha patteggiato 3 mesi e 20 giorni, con la condizionale). L’accusa è di omicidio colposo. Il neurochirurgo e il medico legale incaricati dal pm Giuseppe Ferrando di valutare se la seconda caduta - quella in ospedale - sia stata determinante nel causare la morte del professore hanno concluso la loro consulenza senza fornire certezze: «non si può escludere... dubbi... è probabile». Di parere opposto la parte civile, con l’avvocato Carlo Rossa. Assolutori i difensori Antonio Foti e Davide Gamba.
Più che all’infermiera professionale Vanda Ramunda il processo sembra a certe condizioni di ricovero e assistenza in un reparto per pazienti gravi dell’ospedale più grande del Piemonte. Così come sono emerse nell’udienza di ieri: dobbiamo risalire al 22 gennaio 2008, qiando i figli Dario e Giorgio accompagnarono il padre Saverio al pronto soccorso.
Il professore soffriva di diabete ed era malato di leucemia, era un paziente a rischio per definizione, a maggior ragione dopo la caduta in montagna, a Bardonecchia, di due giorni prima, che aveva provocato quel pomeriggio prima formicolio in tutta la parte sinistra del suo corpo, poi la paralisi degli arti. La neurochirurgia diventa la destinazione naturale. Ma non c’è che quella barella, anche per un ricoverato come il professore, che pesava 80 kg.
La testimonianza della caposala in udienza, Rita Tozzi, è illuminante: «Il nostro reparto, dopo l’accorpamento della neurochirugia B con la neurologia C, aveva nel 2008 trenta posti letto e quelo giorno avevamo dai 3 ai 5 pazienti in più, ricoverati tutti su barelle. Da un anno ne disponiamo di un nuovo tipo, più moderno, ma allora i pazienti restavano su quelle del pronto soccorso, molto vecchie, in tanti casi le sbarre laterali di protezione non agganciano bene le posizioni intermedie di altezza. Si usano ancora». Anche per la caposala il paziente era «critico», «con un ematoma nel cervello, sanguinamenti, emiplegico».
Un letto il professor Peirone lo avrà solo dopo la nuova caduta e la successiva Tac che evidenziava un secondo ematoma. Il figlio Giorgio riferisce al giudice Andrea Natale: «Il medico di guardia escluse che la botta presa in testa dopo essere scivolato dalla barella avesse avuto conseguenze».
Lasciamo stare l’azzardo di quel medico, torniamo alla caposala: «Nel nostro reparto quel mattino vi erano, fra infermieri professionali e operatori sanitari, 4 persone: 2 dovettero recarsi in sala operatoria ad accompagnarvi un paziente». Per turno dovrebbero essere 8. Il resto è immaginabile. La caposala: «Parlando in generale, non del mio reparto, la situazione è peggiorata dal 2008, a causa dei nuovi accorpamenti di reparti». E dopo: «Peggiorerà ancora, con i nuovi accorpamenti previsti». Con più malati gravi costretti a rimanere in barella.
A suo tempo, sul caso del professore Peirone e sul degrado di certe condizioni di ricovero l’«Associazione Adelina Graziani contro la malasanità» presentò un esposto alla direzione generale dell’ospedale.
LaStampa
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