lunedì 21 febbraio 2011

GUERRA TRA RUMENI E ALBANESI PER IL CONTROLLO DELLA CITTA'


TORINO - I «ragazzi di Oarza», un romeno di 36 anni che di nome fa Viorel Marian, un culturista con un passato di rilievo nel mondo dello sport balcanico, ora in carcere per un tentato omicidio (ha sparato una serie di colpi, aprile 2009, contro l'albanese Nol Sheu e l’«infame» Dumitru Pirvan detto «pitbull», romeno passato ai rivali) hanno affiancato, alla croce ortodossa tatuata sui bicipiti gonfiati da ore di palestra, il nome del capo. Si sono così auto-marchiati, e ora sono i «ragazzi di Oarza». Lui, ricercato a suo tempo in Romania e rifugiatosi in Italia e infine a Torino, dal carcere, continuerebbe a tenere sotto controllo la sua organizzazione, in conflitto con i clan albanesi. In particolare, appunto, quello dei potenti Sheu, da decenni radicati anche in Piemonte.

Gli ultimi episodi di questa guerra che ha provocato morti e decine di feriti, tra aggressioni, sparatorie e pestaggi, nel quartiere San Paolo, sono avvenuti pochi giorni fa. Tre albanesi, forse per errore, forse per provocare i rivali, hanno provato a entrare in un club privato controllato dai romeni; presi, picchiati e lasciati sanguinanti sul marciapiede di via Monginevro. Due giorni dopo quattro incappucciati (ripresi dalle videocamere di sicurezza) hanno tentato di incendiare il locale. È facile prevedere che la questione non è finita qui ma anzi, ci saranno altri episodi di violenza, altri regolamenti di conti.

Se i nigeriani controllano il narcotraffico, ormai su un livello industriale, con sistemi di importazione della droga totalmente indipendenti dalle organizzazioni criminali italiane, i romeni si sono dedicati allo sfruttamento delle donne, alla ricettazione e l’esportazione di ogni genere di refurtiva e al controllo dei locali, non più solo di carattere etnico. Perché i «ragazzi di Oarza», fisici da culturista, teste rasate, giubbotti di pelle nera, anfibi e blue jeans, oltre ad altri dettagli, ora si dedicano alla sicurezza di decine di locali di Torino e provincia.

Gli albanesi hanno puntato invece sul controllo delle aree destinate alla prostituzione e al traffico di eroina brown sugar, importata direttamente dalle zone di produzione, Afghanistan e Pakistan, spedita in Italia attraverso i Tir, via Turchia. Ogni tanto, per dare un senso agli imponenti apparati repressivi delle polizie europee, favoriscono sequestri da record e molti arresti in una botta sola. Un modo per ripulire l’organizzazione da soggetti inutili, inaffidabili o da qualcuno che tenta di mettersi in proprio. «Fumo negli occhi - spiega un inquirente - in realtà i flussi di droga sono inarrestabili e di proporzioni enormi. La destabilizzazione politica in atto nel Medio Oriente, va rafforzando le organizzazioni criminali, ormai libere da ogni controllo, anche formale».

Le conseguenze di quanto accade nei lontani scenari internazionali sono tutt’altro che astratte. Gli albanesi vogliono continuare a controllare la rete dei locali pubblici e delle sale delle slot, che vanno acquistando e affidando a gestori di fiducia, anche italiani, organizzati in una specie di rozzo franchising. Paghi una quota, in cambio obbligo di forniture e arredi, sino alle connessioni telefoniche e del Web. Se non paghi o se qualcosa va male, spedizioni punitive, vendette trasversali su familiari o amici dei «rei», anche in Albania. Direttamente a domicilio; i romeni non vogliono che la rete albanese si espanda troppo, anche nei settori, dai trasporti internazionali alla ricettazione, lo sfruttamento delle donne, di cui hanno o avevano il monopolio assoluto.

Non mancano i fatti di sangue. Uno sfruttatore albanese uccide, in via Lima, a colpi di pistola uno dei capi dell’import-export della prostituzione, forse inconsapevolmente. Da lì una scia di sangue e di vendette che non accenna a concludersi. Il 18 gennaio 2010, un gruppo di fuoco albanese spara contro un gruppo di romeni appena usciti da una palestra. Muore Petrica Catalin Scutariu, 34 anni, di Nichelino, già accoltellato alcuni mesi prima e scampato miracolosamente al primo agguato. Adesso la guerra, più sottotraccia, continua. Dicono che i romeni abbiano duramente punito uno dei boss albanesi, picchiando e seviziando una delle loro donne, giovanissima, sorpresa in un club e convinta, con l’inganno («Ti facciamo vedere il tuo ragazzo», le avevano detto) a seguirli in una zona isolata.

Adesso non resta che aspettare. Uno degli Sheu mostra l’arcata sopracciliare ricostruita a fatica dai chirurghi plastici. Preso per strada dai romeni. Un occhio fuoriuscito dall’orbita, placche d’acciaio per ridisegnare il volto, segnato da una spaventosa cicatrice. Erano loro, «i ragazzi di Oarza»? «Era buio, non li ho riconosciuti». Solo diplomazia. La risposta, quella vera, è nello sguardo.


LaStampa

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