lunedì 14 febbraio 2011

L'ORGOGLIO DELLE DONNE IN PIAZZA, "BASTA OFFESE"


TORINO - Bisognava esserci, ieri in piazza, per rendersi conto di che cosa significhi muoversi in mezzo a centomila persone. L’onda rosa, ma sarebbe meglio dire l’onda dell’indignazione (anti-Cavaliere, va da sé) ha travolto Torino. Sono bastate venti donne, (il comitato «Se non ora, quando?»), una rete virtuale e una rete di gomitoli di lana per mettere in scena una manifestazione di rara potenza. Proprio in forza della sua ricetta, che ha sostituito i partiti con la passione civile, assumendo una forza meta-politica.

Forse il megafono resta l’unico simulacro delle vecchie manifestazioni. Ma al posto degli striscioni ci sono gli ombrelli - da aprire all’invito lanciato da Giustina Iannelli «contro il fango che ci fanno piovere addosso». Al posto delle bandiere i gomitoli di lana colorata, fili rossi, bianchi, azzurri, verdi, per creare una rete di ritrovata dignità, «per salvarsi dal baratro». Per unirsi. È una manifestazione che pare nascere dal caso, un fiume che s’ingrossa come per un’alluvione di solidarietà, passaparola, «tu ci vieni oggi al corteo?».

Da piazza San Carlo la folla straripa sotto i portici per poi riesplodere in piazza Castello e poi ancora in via Po e piazza Vittorio. «Siamo 100 mila - urlano dal megafono - e siamo arrivate qui senza bandiere politiche solo per difendere la nostra dignità, per smetterla di farci calpestare».

Non è un 8 marzo. Non è un corteo rosa. Non è una manifestazione di genere. Parte dalle donne, ma coinvolge anche «voi uomini che meritate un applauso perché non ci trattereste mai come fa il premier Berlusconi». Le mimose si contano sulle dita di una mano. In compenso ci sono uomini barbuti con la parrucca platinata e il cartello al collo, «Prendimi: sono in vendita». Accanto a loro, mogli e fidanzate con la coccarda rosa shocking con su scritto «Se non ora, quando?».

Qualcuno raccoglie i soldi per la manifestazione, perché «qui è stato fatto tutto in casa, non c’è dietro nessun miliardario». E annuncia che presto arriveranno alle donne - magari via mail - anche piccole bandiere da esibire ai balconi, con lo slogan «Se non ora, quando?». Il tam-tam on line ha funzionato alla perfezione, e dire che a Torino erano solo venti le donne che hanno lavorato al progetto. E il risultato è stato come un 1° maggio di quelli ben riusciti. «È dai tempi in cui parlava Berlinguer - dice Laura Asnago, 67 anni insegnante in pensione - che non vedevo tanta gente fin sotto i portici».

La folla oceanica che ha trasformato Torino in una fra le più combattive anti-Arcore italiane è l’effetto della prima grande manifestazione spontanea maturata in rete. I politici ci sono, ma restano ai margini. Comparse. Solidali. Discreti. Qualcuno si mette a urlare: «C’è Berlusconi!». È un ragazzotto in vena di scherzi, che indossa la maschera del premier sopra la calzamaglia azzurra di Superman. «Quella la metterà per salire al Quirinale» commenta una signora in carrozzella.

Berlusconi-Batman a parte, i politici indossano soprattutto l’understatement. Sanno che la scena è della gente comune. Giovani, pensionati, sposi col passeggino. E, perché no, le veline mancate («Dio ce ne scampi»). Giovani e belle donne che indossano al collo il cartello: «Fra il mio lato A e il mio lato B ho scelto il mio lato C, il cervello». Accanto, signore con i capelli bianchi e le giacche in lana cotta, cartello con la scritta «Non mi arrendo». C’è anche Eugenia Bonetti, la missionaria delle Consolata che ha lavorato oltre vent’anni in Africa, e adesso annuncia: «Voglio dare voce a chi non ce l’ha, alle nuove schiave che vengono nel nostro Paese pensando di trovare un futuro migliore». Volano gli ombrelli, l’applauso inonda piazza Vittorio.


LaStampa

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