lunedì 14 marzo 2011

GIAPPONE, BLOCCATI ALL'INFERNO, SOGNANO L'ITALIA


TORINO - Alle sei del pomeriggio, ora italiana, il cellulare di Simone De Luosi, ingegnere ventiquattrenne, squilla un paio di volte. Poi la linea cade. Ad Osaka, in Giappone, sono le tre del mattino. Simone, arrivato da Tokyo, si è rifugiato a 850 chilometri da Sendai, nella regione del Miyagi, il centro dell’apocalisse. Non è solo. Con lui c’è la fidanzata - stessa età e città di provenienza, Nichelino - Aurora Andrea Di Benedetto, studentessa di economia, a un passo dalla laurea, arrivata in Giappone il 4 marzo per una vacanza tanto desiderata e dal corso inimmaginabile.

Il telefono trilla, la rete è sovraccarica e la linea salta ancora. Quando finalmente risponde, Simone bisbiglia: «Devo parlare piano, qui è notte. Ci hanno ospitato degli amici. Ditelo ai nostri parenti, in Italia, di stare tranquilli: se tutto va bene ritorneremo a casa la prossima settimana».

Impresa non semplice. Perché le immagini dello tsunami che travolge navi e impasta nel fango pezzi di case e carcasse di auto, i cornicioni dei palazzi che piovono dal cielo come meteoriti impazziti, la paura per l’esplosione del reattore nucleare numero tre e la psicosi «piogge acide», pesano molto più di tante parole dette per rassicurare. Alessandro Di Benedetto, papà di Aurora e presidente dell’interporto di Orbassano, ad esempio, non riesce proprio a esserlo, rassicurato. Anzi, è piuttosto inquieto e decisamente arrabbiato: «So che mia figlia è una giovane donna responsabile, che sa prendersi cura di sé, che accanto ha un bravo ragazzo, ma noi qui, ci sentiamo abbandonati. Nessuno dell’ambasciata ci ha contattato per dirci quando i nostri ragazzi potranno partire, chi si farà carico del viaggio di ritorno e come ci si occuperà di loro nel frattempo. Noi passiamo ore, di notte, appesi al telefono prima sentirli per via delle linee costantemente occupate. Per quanto sappiamo stanno facendo tutto da soli: hanno trovato un posto da amici e cercano su Internet i biglietti per l’Italia. Nemmeno fosse un viaggio di ritorno qualsiasi».

Gli europei in Giappone, per turismo e lavoro, sono centinaia di migliaia. Molti voli sono «overbooking» e anche le compagnie low cost hanno adeguato i prezzi alla domanda: «Si parla di duemila dollari a testa. Per noi non c’è problema - dice Di Benedetto - aiuteremo senz’altro nostra figlia, ma io e mia moglie ci chiediamo “e se non avessimo potuto farlo?”». Poi aggiunge: «Il nostro governo avrebbe dovuto fare come quello francese che si è preso l’incarico di gestire il rientro di tutti i connazionali in Giappone».

I tentativi di tranquillizzare vanno a vuoto: Simone e Aurora stanno bene, adesso sono distanti dall’area colpita dal cataclisma, e la prossima settimana rientreranno a casa, a Nichelino. Raccontano di avere in tasca biglietti. «Me lo auguro - è la replica del papà della ragazza - anche a noi dicono che partiranno venerdì da Hong Kong. Il fatto è che quando me lo assicurano aggiungono sempre: “se tutto va bene”. Ed è quel “se” che non mi lascia dormire tranquillo...»


LaStampa

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