sabato 26 marzo 2011

TRASLOCO FIAT, C'E' LA SMENTITA MA INTANTO TORINO TREMA


FIAT se ne andrà? Nel dubbio, Torino trema. Non sono bastate le rassicurazioni date dallo stesso Sergio Marchionne al Parlamento, né la smentita arrivata ieri dall’azienda. L’idea che il principale costruttore automobilistico italiano possa spostare la sua testa negli Stati Uniti continua a mandare in fibrillazione buona parte del territorio piemontese.

Non Sergio Chiamparino. Il sindaco di Torino continua a tenere i nervi saldi: "Dalla Fiat non ho avuto alcun segnale", taglia corto il primo cittadino. Che poi getta acqua sul fuoco dicendo che la Reuters, l’agenzia che ieri ha rilanciato la notizia della futura fuga di Fiat negli States, "non è il Vangelo" e che quella è "un’opinione, ma ce ne sono altre opposte". Insomma, in quattro parole: "Non è successo nulla".

Fabrizio Cellino, il presidente dell’Api Torino, l’associazione delle piccole medie imprese, vuole andarci cauto ma non riesce a celare il timore che l’addio di Fiat possa concretizzarsi: "Di fronte alle nuove voci di trasferimento – dice – occorre fare chiarezza in tempi brevi e sulla base di informazioni che non siano solo il frutto di indiscrezioni. Non è possibile pensare al futuro di un comparto così importante solo sulla base di supposizioni". Da uomo d’azienda qual è, Cellino bada al sodo: "Da italiani saremmo dispiaciuti se la sede del gruppo Fiat si spostasse in America, ma ciò che importa è la sostanza e i contenuti dei futuri piani industriali". E aggiunge: "Se la Regione deciderà di convocare gli attori di questa vicenda, noi non ci sottrarremo a questo compito e anzi chiediamo fin da subito di essere interpellati".

Il leader della Fiom-Cgil Torino, Federico Bellono, non si stupisce: "Queste ulteriori voci sembrano confermare, se non una prospettiva certa nei modi e nei tempi, sicuramente una tendenza a voler spostare la sede. Che però si vede anche a occhio nudo: che Chrysler sia ormai diventata la priorità di Marchionne è evidente, così come è evidente che pesano non poco gli impegni presi con il governo degli Stati Uniti anche dal punto di vista finanziario". Claudio Chiarle, segretario provinciale della Fim Torino, preferisce frenare: "Il problema vero non è dove è posizionata la scrivania di Marchionne, ma se la questione della sede è legata a motivi di natura fiscale o piuttosto di politica industriale. Laggiù Obama supporta l’industria dell’auto, cosa che qui non succede. E laggiù il sindacato costruisce ponti d’oro per Marchionne, mentre qui mette i bastoni tra le ruote. Per questo, se un giorno la scelta di trasferire la sede dovesse diventare definitiva, il governo e un pezzo di sindacato dovranno fare qualche riflessione".

E la politica? Monica Cerutti (Sel) ironizza: "Nel report diffuso dalla Reuters Marchionne viene indicato come l’Elvis Presley del Lingotto. Noi sinceramente invece di avere un Elvis che importa il modello americano dei diritti e ci priva della sede dell’azienda più importante del paese, preferiremmo avere un più modesto Adriano Celentano, che vada negli Usa per esportare il Made in Italy". Cesare Damiano (Pd) ragiona: "Noi ci aspettiamo che Fiat dia seguito agli investimenti stanziati per il piano Fabbrica Italia. Se si percorre questa strada, dopo gli accordi e i referendum di Pomigliano e Mirafiori, si dovrà mantenere conseguentemente la sede legale in Italia". Giorgio Merlo (Pd) se la prende con l’esecutivo Berlusconi: "La permanenza di Fiat in Italia continua a essere un postulato essenziale non solo per il futuro industriale di Torino e del Piemonte ma di tutto il Paese. Di fronte a questo ennesimo rischio, vero o virtuale che sia, il governo non può più stare alla finestra".


Repubblica

0 commenti:

Posta un commento