Marzo 2007. Dalla lontana Lettonia l’imprenditore torinese Mario Gavosto inviava mail e scriveva lettere sul suo sito dal tono drammatico. Era stato arrestato in Lettonia, dove s’era trasferito, «per accuse inesistenti, montate contro di lui». Mesi di carcere «in condizioni terribili» solo perché non aveva consegnato computer e altro materiale a un centinaio di acquirenti che avevano pagato in anticipo la merce. Insomma, Gavosto - alle spalle una famiglia della media borghesia - si era fatto passare come una «vittima di una congiura». Morale, tanti aderirono ai suoi appelli e un italo-americano, commosso, gli prestò 28 mila dollari per evitargli la galera.
Chiusi i siti e sparite le lettere lacrimevoli, Gavosto ha pensato bene di cambiare anche nome. Si faceva chiamare Mario Scarpa e, con questa identità, secondo le accuse della procura di Torino e dei detective della polizia locale di Torino guidata dal commissario Fabrizio Lotito, avrebbe reclutato (dopo un severo casting) una serie di ragazze lettoni da destinare all’Accademia, un noto ed elegante centro massaggi di Torino. Scoperto a causa di una fatale imprudenza su Facebook da una agente: era nell’elenco degli amici di uno degli indagati torinesi e, con tanto di foto, ha scritto di se stesso: «Sono Gavosto, alias Scarpa».
L’ex «perseguitato» è stato raggiunto da un mandato di cattura internazionale. Mesi fa gli hanno «tracciato» il telefono cellulare e, quando Gavosto ha lasciato la Lettonia per andare a trovare la mamma, in un alloggio di via Borgaro, è stato subito individuato e arrestato. Gli inquirenti hanno ricostruito il suo ruolo nella storia di prostituzione. Il suo complice italiano lo raggiungeva spesso, giusto il tempo di convocare le ragazze da destinare al suo centro massaggi di Torino; selezionarle e infine curare i dettagli burocratici necessari per il viaggio in Italia, i permessi di soggiorno, le sistemazioni, più i compensi, l’alloggio e il resto. L’inchiesta è ancora in corso e potrebbero emergere anche altri particolari di questo traffico di donne dall’Est a Torino.
Tra le migliaia di messaggi diffusi tra il 2006 e il 2007 sulla rete, c’è anche questo. L’imprenditore appena scarcerato temeva un nuovo tintinnare di manette: «... ormai è chiaro che il sottoscritto è completamente vittima di una palese persecuzione da parte delle autorità lettoni e a questo punto non me ne spiego più davvero il perché, visto che ho pagato tutto ciò che volevano... Qui in Lettonia mi hanno ricattato, obbligandomi a pagare il non dovuto solo per essere libero! Mi hanno bloccato una azienda per 6 mesi senza un reale valido motivo; mi hanno arrestato per dei giorni come se fossi uno dei più pericolosi criminali al mondo».
Poi: «Ma qualcuno dal governo, ora che tutta la mia storia è pubblica, farà qualcosa per garantire a un italiano giustizia, ignorando i miei numerosi appelli pubblicati da agenzie di stampa nazionali ed internazionali?». Adesso, almeno, le istituzioni si sono occupate di lui.
LaStampa
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