La lettera è arrivata ai primi 35 lavoratori pochi giorni fa. Scritta in un linguaggio molto cortese, quasi amichevole. Solo che il contenuto era all’incirca questo: «Caro dipendente, dal 31 gennaio la sua sede di lavoro non è più a None, bensì ad Assago, in provincia di Milano». Tecnicamente si chiama “trasferimento collettivo” e riguarda in totale circa cento persone occupate alla Ceva Logistics, l’azienda che si fa viaggiare i componenti necessari ad assemblare le automobili Fiat.
Sono impiegati, tecnici e ingegneri, che lavorano quasi tutti nella cittadina della cintura, ma anche nelle altre due sedi di Rivalta e di Rivoli. Per loro quelle lettere sono il classico fulmine a ciel sereno, perché l’azienda non aveva dato alcun segno di volerli spostare. Anzi, l’incontro sindacale in cui le parti sociali dovranno discutere dell’eventuale trasferimento è fissato per il 14 gennaio all’Unione industriale. Eppure la Ceva ha deciso di inviare le comunicazioni comunque. Causando l’inevitabile irritazione dei sindacati: «La consultazione sindacale – sottolinea il funzionario della Fiom-Cgil, Antonio Citriniti – è prevista dalla legge, non si può inviare le lettere prima ancora di aprire la trattativa. Bisogna prima verificare quali sono le motivazioni e occorre trovare un modo per non recare danno alle persone». Anche perché metà della forza lavoro della Ceva di None è composta da donne, in buona parte mamme. Che difficilmente possono accettare un trasferimento a 175 chilometri di distanza. E che soprattutto non ne capiscono il motivo: «Sulle lettere inviate – racconta una lavoratrice – non si fa menzione delle cause. Sappiamo per vie traverse che la riorganizzazione è dovuta a un grosso investimento che l’azienda ha fatto su un sistema di gestione satellitare che ha la sua torre di controllo proprio a Milano. Una torre che, in realtà, fino a sei mesi fa doveva essere costruita a Torino».
Invece Milano colpisce ancora. Proprio come è accaduto a giugno dell’anno scorso ai 350 addetti (in prevalenza ingegneri) della Maire-Tecnimont, per i quali l’azienda di progettazione ha richiesto il trasferimento dalla sede torinese di corso Ferrucci al quartier generale meneghino. Un fenomeno preoccupante secondo la Fiom: «Torino – denuncia Citriniti – si sta svuotando non solo di posti di lavoro ma di pezzi di storia industriale in favore del capoluogo lombardo. Anche per questo chiediamo alla Ceva di ritirare le prime 35 lettere inviate e di attendere l’incontro del 14 gennaio». Per la multinazionale della logistica sarebbe il proseguimento di un processo di abbandono del Piemonte iniziato già lo scorso anno. La Ceva aveva infatti in gestione la movimentazione di tutte le merci della Fiat. Ma a dicembre 2009 il Lingotto ha deciso di invertire la rotta delle esternalizzazioni iniziate negli anni 90 e di riprendersi, a partire dal 1 gennaio 2011, circa 2.900 tra carrellisti e addetti che lavorano nei suoi stabilimenti italiani. Ma non i 100 impiegati di None. Il motivo? Secondo voci che circolano negli ultimi tempi, il costruttore automobilistico sarebbe pronto a gestire la logistica delle merci in ingresso da solo, utilizzando i propri dipendenti.
Dunque, un’altra grana per la Torino dell’industria, che scoppia all’interno del “recinto” Fiat, per di più in un ambito molto delicato per la produzione come quello dell’approvvigionamento dei componenti. E che scoppia proprio il giorno prima del rientro in fabbrica dei 2.070 operai e dei 169 impiegati e quadri che alle carrozzerie di Mirafiori si occupano della Alfa Mito, ossia alla vigilia delle uniche due settimane di gennaio in cui lo stabilimento di corso Agnelli non sarà chiuso per cassa integrazione.
Sono impiegati, tecnici e ingegneri, che lavorano quasi tutti nella cittadina della cintura, ma anche nelle altre due sedi di Rivalta e di Rivoli. Per loro quelle lettere sono il classico fulmine a ciel sereno, perché l’azienda non aveva dato alcun segno di volerli spostare. Anzi, l’incontro sindacale in cui le parti sociali dovranno discutere dell’eventuale trasferimento è fissato per il 14 gennaio all’Unione industriale. Eppure la Ceva ha deciso di inviare le comunicazioni comunque. Causando l’inevitabile irritazione dei sindacati: «La consultazione sindacale – sottolinea il funzionario della Fiom-Cgil, Antonio Citriniti – è prevista dalla legge, non si può inviare le lettere prima ancora di aprire la trattativa. Bisogna prima verificare quali sono le motivazioni e occorre trovare un modo per non recare danno alle persone». Anche perché metà della forza lavoro della Ceva di None è composta da donne, in buona parte mamme. Che difficilmente possono accettare un trasferimento a 175 chilometri di distanza. E che soprattutto non ne capiscono il motivo: «Sulle lettere inviate – racconta una lavoratrice – non si fa menzione delle cause. Sappiamo per vie traverse che la riorganizzazione è dovuta a un grosso investimento che l’azienda ha fatto su un sistema di gestione satellitare che ha la sua torre di controllo proprio a Milano. Una torre che, in realtà, fino a sei mesi fa doveva essere costruita a Torino».
Invece Milano colpisce ancora. Proprio come è accaduto a giugno dell’anno scorso ai 350 addetti (in prevalenza ingegneri) della Maire-Tecnimont, per i quali l’azienda di progettazione ha richiesto il trasferimento dalla sede torinese di corso Ferrucci al quartier generale meneghino. Un fenomeno preoccupante secondo la Fiom: «Torino – denuncia Citriniti – si sta svuotando non solo di posti di lavoro ma di pezzi di storia industriale in favore del capoluogo lombardo. Anche per questo chiediamo alla Ceva di ritirare le prime 35 lettere inviate e di attendere l’incontro del 14 gennaio». Per la multinazionale della logistica sarebbe il proseguimento di un processo di abbandono del Piemonte iniziato già lo scorso anno. La Ceva aveva infatti in gestione la movimentazione di tutte le merci della Fiat. Ma a dicembre 2009 il Lingotto ha deciso di invertire la rotta delle esternalizzazioni iniziate negli anni 90 e di riprendersi, a partire dal 1 gennaio 2011, circa 2.900 tra carrellisti e addetti che lavorano nei suoi stabilimenti italiani. Ma non i 100 impiegati di None. Il motivo? Secondo voci che circolano negli ultimi tempi, il costruttore automobilistico sarebbe pronto a gestire la logistica delle merci in ingresso da solo, utilizzando i propri dipendenti.
Dunque, un’altra grana per la Torino dell’industria, che scoppia all’interno del “recinto” Fiat, per di più in un ambito molto delicato per la produzione come quello dell’approvvigionamento dei componenti. E che scoppia proprio il giorno prima del rientro in fabbrica dei 2.070 operai e dei 169 impiegati e quadri che alle carrozzerie di Mirafiori si occupano della Alfa Mito, ossia alla vigilia delle uniche due settimane di gennaio in cui lo stabilimento di corso Agnelli non sarà chiuso per cassa integrazione.
Repubblica
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