mercoledì 18 maggio 2011

CARNEFICINA NELLA BARACCA, "ERGASTOLO PER IL COMPLICE"


TORINO - «Elena Dragostin ha un bambino che non ha potuto rivedere il padre dall’età dei suoi otto anni». La voce del pm Livia Locci si incrina per l’emozione su questo passaggio della requisitoria, poco prima di chiedere l’ergastolo (e l’isolamento diurno di un anno) per Mihai Codrut Apostol, macellaio romeno di 33 anni, in cella dal dicembre 2008. Quando partecipò alla «spedizione punitiva» nei confronti degli occupanti di una baracca nei pressi dello Stura. Apostol imbracciava una motosega, Victor Agrigoraie il coltello con cui ferì gravemente Elena Dragostin e Margoi Alexandru, e infine uccise con tre coltellate - due al cuore - il marito della donna, Vasile Axinte, che aveva 32 anni. Tutti romeni.

Agrigoraie è stato condannato all’ergastolo in abbreviato, pena che dovrebbe essergli stata confermata in appello in questi giorni, almeno questo si aspetta il suo difensore all’esito del processo. Il pm Locci, ieri: «Il movente di questa carneficina - ce lo dice lo stesso Apostol, è nella volontà di Victor di cacciare dalla baracca quei vicini scomodi». Per futili motivi, sottolinea il magistrato di fronte alla Corte d’Assise: uno sgarbo subìto, forse la lite per una bombola di gas. Anche Apostol, «che aderì pienamente alla spedizione punitiva», merita l’aggravante specifica, e quella dell’aver preso d’assalto un gruppo di persone inermi, non in grado di difendersi.

Vasile ed Elena avevano trovato di che ripararsi in quella «baracca isolata, a dir poco fatiscente, nei pressi della quale c’era quella di Victor». Alle spalle il fiume, in mezzo una fitta boscaglia dove cercò riparo e morì, di emorragia, il povero piastrellista sceso pochi mesi prima dal treno a Porta Nuova e direttosi in piazza Carlo Felice, dove gli avevano detto «ci sono romeni come noi che possono aiutarti». Al paese, affidato ai nonni, avevano lasciato il figlio.

Tutti i personaggi, vittime e carnefici di questa storia, ruotano attorno a quel giardino: chi come posteggiatore abusivo (Margoi), chi da ex posteggiatore abusivo (Apostol), chi per organizzare furti di rame (Victor). Il pm lo descrive come «poveraccio niente affatto autorevole nei confronti di Apostol, che un lavoro vero l’aveva ottenuto, aveva una casa, una macchina». Per dimostrare che non doveva aver faticato a coinvolgerlo nella «carneficina».

Quella sera di freddo ovunque, più freddo su quella sponda di disperati, Apostol imbracciò la sua motosega e la mise in moto nell’assalto «per creare il panico mentre l’altro uccideva e feriva con il coltello». Apostol si è chiamato fuori: «Mai entrato in quella baracca», ma contro di lui il pm ha scovato una prova regina: il cellulare di Margoi, lasciato là dentro, continuò a funzionare mentre il ferito si trovava gravissimo in ospedale, e dai posti della fuga del macellaio. «Un antisociale, che ha preso a calci e pugni il complice la volta che lo hanno messo in gabbia con lui davanti a voi giudici e che, condannato in precedenza a 4 anni per aver massacrato di botte un palestinese a Porta Nuova, aveva avuto dai primi giudici la possibilità di cambiare vita». Lo avevano rimesso in libertà, lui impugnò la motosega.


La Stampa

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