venerdì 20 maggio 2011

IL DRAMMA DELLA FAMIGLIA CHE NON SAPEVA VIVERE


IVREA (TORINO) - Il passato li ha inseguiti per quasi vent’anni. Braccati per tutto questo tempo con quei ricordi di strazio e disperazione. Vent’anni. Poi, l’altro ieri sera, Gioacchino e Luca Mantione, padre e figlio, di 61 e 37 anni, hanno deciso di chiudere per sempre i conti con il passato. Facendosi inghiottire dalle acque gelide dal lago di Cascinette, uno specchio d'acqua a qualche chilometro da Ivrea. Il destino ancora una volta s’è messo di mezzo. Papà Gioacchino lo hanno recuperato cadavere poche ore dopo i vigili del fuoco. Luca, il figlio, non ce l’ha fatta a morire. S’è trascinato a riva quando ormai suo padre già annaspava. E s’è salvato.

Gioacchino e Luca avevano scelto di morire come, 19 anni fa, aveva fatto l’altra metà della loro famiglia. Come aveva fatto Barbara, figlia di Gioacchino e sorella di Luca che si era uccisa nel’92, infilando la testa in un sacchetto di plastica mentre era ricoverata in una stanza del reparto di psichiatria, dell’ospedale di Castellamonte. Non aveva neppure vent’anni. Era il mese di luglio. A ottobre, Daria Lacchia, la mamma di quella ragazza, travolta dal rimorso di non essere riuscita a salvare quella sua figlia fragile e disperata, si era lasciata morire gettandosi nelle acque della Dora, a Ivrea. Al marito Gioacchino e al figlio Luca aveva consegnato una lunga lettera: due fogli protocollo scritti a mano: «Ora trovo finalmente il coraggio di fare quello che ha già fatto quella bambina. Che io non sono riuscita a proteggere».

Da allora sono passati quasi vent’anni, tempo speso a rimuginare su tutto. E un giorno sono riemersi quei fantasmi che sembravano ormai dimenticati. Chi li conosce è pronto a giurare: «Quei due poveri Cristi non riuscivano più a farne una giusta». Già tutto sbagliato. Tutto diverso da quando tutti e quattro dividevano sogni e futuro in una villetta di Torre Balfredo, periferia di Ivrea: giardino curato, casa sempre pulita e in ordine. Lui, Gioacchino, un lavoro da impiegato all'Olivetti, un mare di responsabilità da gestire e la certezza di una pensione blindata in cassaforte. Lei, Daria, una donna fragile e forte al tempo stesso: una vita passata ad accudire quei due figli, Barbara e Luca, venuti al mondo quando era poco più che adolescente. «Si era negata ogni sogno, tutta la sua vita erano quei due ragazzini».

Spesso, però, le cose non vanno come ci si è immaginato. O semplicemente sperato. La depressione era arrivata come una mannaia. Aveva trascinato nel baratro prima Barbara. Un male oscuro e silenzioso che nessuno era stato in grado di guarire. Una sera d'estate a casa Mantione era arrivata una telefonata dall’ospedale, dove la ragazza era ricoverata da qualche giorno. Erano cattive notizie. Fu l'inizio della fine. Pochi mesi dopo Daria Lacchia era salita sulla sua Fiat 126, aveva raggiunto le rive del fiume e si era lasciata trascinare dalla corrente.

Da allora padre e figlio si sono spostati da un paese all'altro, ospiti di parenti o in affitto ovunque capitasse. Li raccontano così: «Spesso entrambi ubriachi, due tizi strani». L'ultimo anno lo hanno vissuto a Pont Canavese: «Poi due mesi fa se n'erano andati» dicono i vicini. Era sera e Gioacchino aveva dei borsoni in mano. «Ci disse: porto Luca a curarsi, non sta bene. Ha problemi di alcol». Di Barbara e Daria, quelle due donne sparite dalla loro vita tanti anni fa, invece raccontavano sempre la stessa storia: «Sono morte in un incidente».

I carabinieri dicono che già martedì scorso padre e figlio avevano cercato di ammazzarsi con un cocktail di barbiturici e alcol. Ma non c'erano riusciti. Ci hanno riprovato l'altro ieri sera, poco prima di mezzanotte. Sono saliti in auto, hanno raggiunto le sponde del lago e si sono lasciati inghiottire da quelle acque gelide. Trascinandosi dietro i fantasmi del passato.


La Stampa

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