La soluzione c’è. Il presidente dell’Unione industriale, Gianfranco Carbonato, non si rassegna all’idea che la trattativa sul futuro delle Carrozzerie di Mirafiori possa saltare. Indica un percorso: «La joint-venture Fiat-Chrysler nascerà solo nel 2012; da adesso ad allora sarà possibile arrivare a quel contratto per l’auto a cui la Fiat è interessata. Il tempo c’è».
E aggiunge: «Nel 2011 scade il contratto attuale. Intanto si vada avanti con l’investimento e le parti, tutte quelle che ci vogliono stare, si mettano a un tavolo e arrivino a una intesa ampia».
La Fiat ha detto chiaro che non rinuncia a un contratto ad hoc per la joint-venture. Non vuole quello collettivo nazionale. È sicuro che se ne esca?
«Non è una posizione nuova, lo aveva già detto per Pomigliano. E lo aveva detto alla Federmeccanica e si sono realizzate le deroghe».
Il sistema confindustriale aveva anche assicurato che entro l’autunno si sarebbe arrivati a un nuovo accordo con il contratto dell’auto e invece è quasi Natale e non è stato fatto. Perché secondo lei?
«Perché non è facile. Già non è facile rinnovare un normale contratto collettivo nazionale. Molto peggio è scrivere nuove regole comuni, si fa se c’è una forte spinta».
Ma secondo lei la Fiat ha ragione?
«Certamente il contratto collettivo nazionale è un documento ponderoso, fatto, rifatto e modificato. È un oggetto complicato e rigido che non risponde alle nuove esigenze di una fabbrica di automobili».
La Fiat potrebbe, come aveva già annunciato, lasciare Federmeccanica dopo la vicenda Mirafiori?
«Il rischio c’è. C’è un problema di rappresentanza che non riguarda solo i sindacati».
E allora?
«Allora credo che si debba lavorare sodo per approdare a una nuova normativa che tenga conto del mondo che è cambiato e delle necessità di una fabbrica che voglia fare margini di utile. Si devono trovare le regole per combattere insieme l’assenteismo e rendere il lavoro efficiente, senza ammazzare le persone».
Quindi lei non apprezza l’idea che ogni fabbrica abbia il suo contratto?
«Credo che non sia pensabile che ogni fabbrica abbia le sue regolette».
Torniamo alla chiusura di venerdì: se ne esce?
«Siamo tutti preoccupati, ma se ne deve uscire. La portata in gioco è troppo alta. In tante trattative si arriva a un punto di crisi che va risolto».
Teme per l’investimento?
«La Fiat non ha detto che intende rinunciare. Non ha drammatizzato. Però è chiaro che è in gioco un progetto che coinvolge i 5 mila delle Carrozzerie più altri 10 mila dell’indotto. E non solo».
Che altro?
«Finalmente si avvierebbe a Torino la produzione di auto di alta gamma. Ce n’è bisogno. Io, ad esempio, aspetto per acquistarne una. Si tratta di produzione con alti margini che implicano alta tecnologia. Una situazione che spingerebbe anche i fornitori a investimenti».
Quindi lei apprezza, oltre all’investimento in genere, anche il tipo di scelta?
«Assolutamente sì. Adesso si fanno a Mirafiori 200 auto al giorno, lo stesso numero che poteva fare la Pininfarina, cioè una produzione di nicchia. Nel progetto di Marchionne sarebbero 1000 al giorno. Un bel salto».
LaStampa
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