Il modello è quello del pronto soccorso, dove un colore indica la gravità dell’emergenza. In questo caso il paziente non è un essere umano ma la rete degli ospedali del Piemonte. Sono 72. E secondo lo studio dell’Agenzia regionale per i Servizi Sanitari la situazione è da tenere sotto attenta osservazione. Una struttura, quella di Canelli (Asti), è stata chiusa perché anche in presenza di massicci interventi di riqualificazione l’efficacia sarebbe stata nulla. Altri 17 ospedali sono stati classificati con il codice arancione: per metterli a norma servirebbero investimenti per 879 milioni ma alla fine i risultati avrebbero una bassa efficacia. In alcuni casi, però, gli interventi non solo sono necessari ma anche obbligatori: i vigili del fuoco hanno imposto a Sant’Anna ed Amedeo di Savoia di adeguarsi alle norme anti-incendio.
Lo studio dell’Aress è stato presentato ieri mattina nel corso di una giornata di studio sulla sicurezza nei luoghi di cura. La relazione dell’Agenzia si basa sulle criticità segnalate dalle singole aziende sanitarie ed ospedaliere che vengono aggiornate all’interno di un data base. Nella relazione è indicato l’indice di vetustà (un mix tra età cronologica, caratteristiche strutturali ed edilizie e altri parametri) e viene fotografato il livello di efficacia attuale e quello che potrebbe essere determinato dagli investimenti.
Cinque i livelli di rendimento. Uno, in particolare, desta un particolare livello di attenzione: la zona arancione, che comprende appunto 17 ospedali con un’indice di vetustà variabile dal 79,3 del Sant’Andrea di Vercelli al 95,9 del Santo Spirito di Nizza Monferrato (ancora Asti). All’interno di queste due soglie si collocano tanti ospedali di Torino e della Provincia. A cominciare da quello di Lanzo, con vetustà a livello 91 e classificato di bassa efficacia: tale resterebbe nonostante lavori di adeguamento stimati in oltre 22 milioni. Poi c’è il centro di rieducazione funzionale del Cto in fase alienazione e la struttura di Pomaretto (90,5 di vetustà e interventi per oltre 10 milioni). In questa categoria rientrano anche il Valdese (oltre 11 milioni per adeguare una struttura con livello di vetustà di 81.5) e il San Luigi di Orbassano: quasi 141 milioni per ottenere comunque un livello di bassa efficacia come quello esistente.
Lo studio mette in evidenza come si investirebbero centinaia di milioni per mantenere di fatto un livello di efficacia identico a quello esistente. Ragionamento che vale anche per interventi di adeguamento in altri quaranta ospedali (verde chiaro) che si possono definire «a vita tardiva». In questo caso, però, i 743 milioni di investimenti servirebbero a garantire una media efficacia.
Nel corso del seminario di ieri mattina il rappresentante del ministero della Salute ha sottolineato la necessità di concentrare gli investimenti sugli ospedali di media e alta intensità. Di fatto il modello degli ospedali in rete immaginato dal presidente della Giunta, Roberto Cota, su cui sta lavorando l’assessore Caterina Ferrero.
Lo studio del’Aress, infatti, offre un’analisi di costi e benefici degli interventi di adeguamento e mette in evidenza come, naturalmente, i nuovi ospedali registrino la massima efficacia e un bassissimo indice di vetustà. Senza dimenticare, inoltre, un dato preoccupante: il Piemonte, per quanto riguarda la dotazione infrastrutturale (edilizia sanitaria ed impiantistica), si colloca al dodicesimo posto tra le regioni, con un indice di 62,8; e, secondo il ministero, «un marcato deficit influenza negativamente anche l’efficienza economico-produttiva delle prestazioni».
Che fare, allora? L’adeguamento di queste strutture vale investimenti per oltre 1,5 miliardi. Ed è chiaro che in presenza di una scarsità di risorse toccherà alla politica fare delle scelte, soprattutto dove e come recuperare risorse. Si parla di project financing. E il primo banco prova della possibilità di realizzare quest’ipotesi - o altre che prevedono comunque la partecipazione di privati - saranno i progetti di città della salute di Torino - che coinvolge le Molinette, Regina Margherita e Sant’Anna - e di Novara. Nel primo caso di parla di strutture che progressivamente verranno abbattute e poi ricostruite.
LaStampa
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