venerdì 3 dicembre 2010

TORINO NON PAGA LA LUCE, IREN: "CI DEVE 300 MILIONI"


Cinquanta milioni subito. Il resto, circa 250 milioni, in tempi brevi e in modalità determinate secondo un «puntuale» piano di rientro. La multitulity Iride, nata dalla fusione tra Iride ed Enìa, scrive al suo azionista, il Comune di Torino, per richiedere un incontro, e lo invita a rientrare dal debito maturato per la fornitura dell’illuminazione pubblica della città e altri servizi. La bolletta della luce della città, in pratica.

Un debito enorme, circa 300 milioni a fine 2009, puntualmente riportato nei bilanci in dettaglio, diventato insostenibile nel momento in cui la vecchia Iride, nata dalle nozze tra Aem Torino e Amga Genova, è diventa Iren con l’aggiunta degli emiliani di Enìa. Il tema sarebbe stato sollevato con fermezza dagli emiliani nel consiglio di sabato scorso, convocato a Torino per discutere del piano industriale. Il debito è quasi il 15% dei 2,2 miliardi di fatturato dei nove mesi della multiutility, quotata in Borsa, che ha come soci oltre a Torino, Genova e i Comuni emiliani.

Per ricostruire la storia del debito verso Iren, è necessario sfogliare il bilancio 2008 della controllata Iride Servizi, la società del gruppo Iren alla quale fa capo la somma. «I crediti finanziari riguardano il saldo del conto corrente che regola i rapporti commerciali e finanziari tra Iride Servizi e il Comune di Torino: contratto sostanzialmente in vigore dal primo ottobre 2004». Il contratto, rivisto nel 2007 dopo la nascita di Iride, prevede un «rapporto di conto corrente» con chiusura al 31 dicembre di ogni anno e saldo entro i trenta giorni successivi. Se non viene pagato entro quella data, la cifra restante viene riversata sul conto dell’esercizio successivo, «al netto degli interessi».

Ogni anno il conto lievita, ogni anno viene pagata una piccola parte, un’altra viene svalutata da Iren e si passa all’esercizio successivo, al netto degli interessi. Nel 2008 viene stabilito un piano di rientro: il totale era di 220 milioni. Iride Servizi sposta la parte più consistente (148 milioni) come «immobilizzazione finanziaria». In pratica un investimento a lungo termine, che dovrebbe produrre un rendimento adeguato come se Iride avesse prestato denaro al Comune. Iride però non è una banca, né lo è Iren. E dunque, i soci emiliani avrebbero chiesto conto e ragione dell’esposizione, salita nel frattempo a 297 milioni.

Non che sia una sorpresa: in ogni bilancio viene riportato l’ammontare del debito e la sua composizione, oltre al «continuo monitoraggio» della situazione. L’irritazione degli emiliani è riferita anche al fatto che, dopo quello del 2008, altri piani di rientro sono stati elaborati dal Comune. Quest’anno ben due, uno a marzo e uno, l’ultimo, approvato dalla Giunta il 3 novembre che prevedeva l’annullamento completo del debito entro il 2017. «Mai come da giugno a oggi ci siamo occupati del problema - spiega l’assessore di Torino al bilancio Guido Passoni - ogni anno anno maturiamo circa 100 milioni.

Da qualche settimana stiamo pagando a Iren 2,5 milioni di euro al giorno. L’obiettivo, concordato con la società, è arrivare a fine anno con un saldo di 240 milioni. Per questo, sono sorpreso della richesta avanzata da Iren». Sullo sfondo, notano a Palazzo di Città, c’è l’obbligo di cessione entro il 2011 nelle partecipate dei servizi ora controllate al 100%. Per Torino significa acqua e rifiuti: un boccone che farebbe gola tanto a Genova quanto in Emilia.


LaStampa

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