domenica 24 ottobre 2010

FINI, ALTOLA' SUL LODO ALFANO, BERLUSCONI: "VUOL FARMI CADERE"


La sindrome dell'accerchiamento riesplode a Palazzo Chigi. Berlusconi ne è convinto. Prima Giorgio Napolitano, poi Gianfranco Fini. Una sequenza "di certo non casuale". Il premier lo considera un inequivocabile "uno-due". "Ormai è tutto chiaro. Puntano al governo tecnico. Basta vedere lo show tra Fini e D'Alema. Vogliono sbalzarmi di sella e tradire il voto degli italiani. Il lodo è solo l'ultima occasione". A chi, nelle ultime settimane, aveva premuto con lui per spingerlo a un riavvicinamento con il presidente della Camera, adesso dice: "Hai visto? Di quello non ci si può più fidare. Lavora solo per sé e contro di me. Punta a prendere il mio posto, l'ha detto pubblicamente, e adesso vuole anche sbarrarmi la strada per il Quirinale".

Furioso e preoccupato al contempo. Pronto a snobbare pubblicamente il lodo ("Ci rinuncio, non l'ho mai chiesto"), giusto per lanciare un messaggio ai suoi elettori, come ha fatto molte altre volte sulle leggi e leggine costruite ad hoc per salvarlo dai suoi guai giudiziari. Processo breve docet. Sempre con la stessa tecnica ("Io sono innocente, lo giuro sui miei figli, quindi non ho bisogno di leggi"). Ma altrettanto silente verso chi sta lavorando febbrilmente per aggiornare lo scudo al Senato e renderlo accettabile per il Colle. Gasparri, Quagliariello, Vizzini, in contatto continuo con Alfano e Ghedini. I due ultimi in collegamento telefonico con la finiana Bongiorno.

Un ostacolo ben facilmente superabile quello sollevato da Napolitano e sul quale già si è trovata la soluzione: anziché sottoporre al vaglio delle Camere la richiesta di sospensione dei processi, si tornerà all'automatismo già presente nei lodi Schifani e Alfano. Un'indagine sul capo dello Stato o sul premier potrà arrivare fino alla richiesta di rinvio a giudizio da parte del pm, ma poi dovrà essere automaticamente sospesa fino alla scadenza del mandato. Via quel voto, soprattutto a maggioranza semplice, che allarmava Napolitano perché poteva "ridurre" le prerogative del capo dello Stato e renderne la figura ostaggio della maggioranza di turno.

Ben più complessa la partita di un lodo che, una volta utilizzato, non può più essere fruito dalla stessa persona. Era giusto così nel primo lodo Alfano, ma Berlusconi e i suoi sembrano esserselo dimenticato. Se ne discusse nel 2008 e si optò per la formula che garantiva la copertura solo qualora il premier dovesse essere nuovamente reincaricato nell'ambito della stessa legislatura. Ma adesso lo stop di Fini è valutato come un "colpo basso". Berlusconi ha esternato a più d'uno lo sconcerto per il comportamento del presidente della Camera: "Per settimane, lui e Bocchino hanno continuato a dire che sul lodo non avevano obiezioni da fare, che la legge era sacrosanta, e poi ecco il voltafaccia, la marcia indietro". Il premier dimentica che "di emendamenti da presentare in aula al Senato" aveva parlato più volte la Bongiorno ad Alfano e Ghedini, pur senza specificarne il contenuto. Niente sorpresa, dunque.

Un lodo che si può utilizzare una sola volta è considerato, dai tecnici del Cavaliere, alla stregua di "una vera e propria presa in giro". Una "beffa". Soprattutto giunti a metà di questa legislatura. Ben che vada, con quattro letture e il referendum previsti dalla procedura costituzionale, la legge non potrà entrare in vigore prima dell'inizio del 2012. Berlusconi ne fruirebbe per poco più di un anno. E, secondo i berluscones, sarebbe "ridicolo e contraddittorio" perdere lo scudo soprattutto dopo lo stress per condurlo in porto.
Ma c'è un altro sospetto che gira nello staff di Berlusconi e che ieri gli ha avvelenato la giornata tra Roma e Arcore. Il premier è convinto che i suoi nemici, dal Quirinale a Fini, stiano esclusivamente lavorando per far bocciare il legittimo impedimento dalla Consulta nell'esame che parte dal 14 dicembre. Gli ostacoli sul lodo, l'agitazione del Pd che si spinge a chiedere il referendum come Di Pietro, la mossa del Colle prima e quella di Fini poi, vengono "letti" come altrettanti segnali chiarissimi alla Corte per "consigliargli" di azzerare la legge-ponte. Soprattutto se, nel frattempo, il lodo non dovesse essere approvato al Senato per l'arrivo della sessione di bilancio. A quel punto riprenderanno i processi Mills, Mediaset e Mediatrade, e se Berlusconi dovesse essere condannato per corruzione nel primo, si aprirebbe inevitabilmente la via del governo tecnico per cambiare la legge elettorale e portare il Paese, con quella, a un nuovo voto. Tutto a svantaggio del Cavaliere.


(REPUBBLICA.it)

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