sabato 9 ottobre 2010

MALASANITA', UNA GARZA NELLO STOMACO PER 27 ANNI


Tutto per una garza. Una maledetta garza rimasta nel suo stomaco dopo un intervento chirurgico. Per 27 anni. Quel «corpo estraneo» le ha causato dolori lancinanti e l’ha fatta finire sotto i ferri in sala operatoria altre due volte. L’ultima, in primavera. Il giorno del miracolo, della rinascita.

Margherita è viva. Dopo aver attraversato l’inferno. Ha perso gli amici, ha lasciato il lavoro, la famiglia si è polverizzata e lei è sull’orlo della povertà, costretta a mendicare ospitalità da qualche amico in attesa di trovare una sistemazione. La sua storia sembra l’apoteosi del paradosso.

Margherita Gillio ha 59 anni. Le sue vicissitudini incominciano il 18 luglio 1983. All’epoca, lavorava come infermiera all’Ospedale Maggiore di Chieri, nel reparto di chirurgia diretto dal professor Walter Drago. E proprio a lui toccò dirigere l’équipe che la operò di ulcera duodenale. Ma da quel giorno, la vita di Margherita è cambiata. «Avevo dolori fortissimi, in continuazione. Sono stata in cura con antidolorifici e gastroprotettivi. Ma è servito a poco», racconta. Tanto che nel 1988 è stata sottoposta a un altro intervento, una colecistectomia. Sempre all’Ospedale Maggiore. Sempre con l’équipe del professor Drago. Niente da fare, i dolori c’erano ancora.

Ricomincia il calvario delle visite specialistiche. E delle incomprensioni. Il marito non le crede, i figli neppure, la sorella e la madre la trattano come una pazza. «Continuavano a ripetermi: “Se non ti fai operare, ti fai compatire”», racconta Margherita. Non ha parlato con i figli per sei anni, madre e sorella «per me non ci sono, nutro totale indifferenza nei loro confronti». L’unico ad averle sempre creduto è stato il padre. Un tumore ai polmoni glielo ha portato via 15 anni fa.

Quella garza ha mandato in frantumi la vita di Margherita. «Mi davano della visionaria. In più, non avevo voglia di uscire di casa, andare a cena fuori diventava una tortura. Ho rinunciato a tutto», spiega. Per 27 anni, ha fatto la figura della pazza. Non è nemmeno riuscita a ricostruire una relazione sentimentale: dopo un po’ gli uomini si allontanavano, convinti che fosse una visionaria. Salute e vita sociale erano in caduta libera. Fino al novembre 2009. Ennesima visita specialistica. La diagnosi è «gastropatia biliare in gastroresecata». I medici avvertono Margherita: se i dolori persistono, bisogna tornare in sala operatoria.

E così avviene, l’11 marzo di quest’anno. Prima, però, i medici hanno sottoposto Margherita a esami radiologici. Ed ecco spuntare una «piccola, tenue opacità» di quattro centimetri, tra lo sterno e le ultime due costole, a sinistra. Sospettano sia un tumore. «Ho passato mesi tremendi, pensavo di essere arrivata alla fine». E invece, era l’inizio. Di una nuova vita. Sempre all’Ospedale Maggiore, dove tutto era incominciato. In sala operatoria hanno lavorato gli specialisti Francesco Piccoli e Luigi Vitali, «novellini» all’epoca del professor Drago. Sono stati loro a ridare la vita a Margherita. Sono stati costretti, però, ad asportare una piccola parte del fegato e del diaframma e a resecare due costole, intaccati dall’infezione legata alla garza. Quando si è svegliata, Piccoli è entrato nella sua stanza. Sorrideva. «Non era quello che pensavamo, io e te oggi non moriamo», le ha detto. Da quel momento tutto è cambiato. «Adesso ti crediamo», hanno detto i figli Fiammetta e Gianni. Madre e sorella hanno cercato di riavvicinarsi, come pure le amiche che l’avevano considerata una folle. «Non dimentico», dice Margherita, che però ha perdonato i figli. «Vivo per loro» dice. Soprattutto da quando Fiammetta è prossima a diventare mamma.

Ma è decisa: «Chi ha sbagliato deve pagare». Il riferimento è al professor Drago, che l’aveva soprannominata «tota un taj», tutta un taglio, per via delle cicatrici legate alle varie operazioni. Margherita ha firmato un esposto finito sul tavolo del pm Gabriella Viglione e ha incaricato l’avvocato Pasquale Ventura di seguire la vicenda penale. Nello stesso tempo, ha avviato una causa civile, affidata all’avvocato Simona Viscio. La richiesta di danni è già pronta: 300 mila euro. Sono poco più di 30 euro al giorno per i 27 anni di vita distrutta, per la famiglia disgregata, per gli amici svaniti, per i sensi di colpa e i rimpianti, per le relazioni sentimentali stroncate sul nascere. Tutto per una garza.


(LASTAMPA.it)

0 commenti:

Posta un commento