sabato 16 ottobre 2010

PROCESSO THYSSEN, GLI OPERAI SONO MORTI PER SALVARE GLI IMPIANTI


«Tutti i nostri operai fanno il possibile per salvare gli impianti e questo attaccamento all’azienda, anche a pochi mesi dalla chiusura, gli varrà la vita». Il pm Francesca Traverso affronta la sua parte di requisitoria prendendo a sciabolate la tesi difensiva della corresponsabilità degli operai «che si sarebbero accorti e attivati in ritardo rispetto alla vampata che - la notte del 6 dicembre 2007 alla Thyssen - ha trasformato un incendio in un muro di fuoco».

Il pm dice «i nostri operai», ripete il «nostro Bruno Santino che alla linea 5 non lavorava e arriva in quel momento per giustificare un ritardo all’unico capo turno in servizio nello stabilimento». Rocco Marzo «che stava all’ufficio qualità e si sposta là per controllare il riavvio della linea dopo una lunga fermata». Dice «i nostri Antonio Schiavone e Antonio Boccuzzi, che avevano fatto già 8 ore di lavoro ed erano comandati a farne altre 8 in assenza di colleghi in turno». Dice «il nostro Angelo Laurino che era stato spostato alla 5 da pochi giorni e seguiva il lavoro degli altri per imparare. Altro che distratti: erano tutti al loro posto, in una linea lunga 200 metri, larga 12, alta 9, per complessivi 2400 metri quadri monitorati attraverso i video dalla sala comando». «Erano talmente attenti alle procedure - prosegue - che fu Roberto Scola, tornando dall’aver eliminato della carta dalla macchina, ad accorgersi del primo fuocherello.

Ma gli estintori in dotazione non servivano a spegnere anche la brace ed erano a breve gittata, azionati a non più di 3-4 metri dalle fiamme. Non appena si ruppe il flessibile e ne fuoriuscì come un lanciafiamme olio idraulico ad elevata pressione si produsse il fire flash, seguì una prima esplosione e l’incendio divenne un muro di fuoco impenetrabile». «Piero Barbetta, il primo soccorritore - conclude - inciampò in Roberto Scola ed Angelo Laurino stesi a terra, nudi, carbonizzati, le scarpe che bruciavano. Li riconobbe solo dalla voce straziata dal dolore».

Il tono del magistrato è il più possibile asettico e le immagini della tragedia non compaiono sullo schermo. Basta, però, per far scorrere l’emozione sui volti di madri e sorelle delle 7 vittime e a far spuntare lacrime nascoste anche sui visi di due giudici popolari. L’analisi delle carenze tecnico-organizzative - il pm ne elenca 16 - assorbe gran parte delle 5 ore della sua requisitoria: «In quelle condizioni avrebbero corso rischi gravissimi anche i vigili del fuoco ed è fuorviante insistere sul fattore umano, mentre un impianto automatico di rilevazione e spegnimento del fuoco vi avrebbe ovviato. Torino doveva chiudere e non fu installato». Guariniello avverte: «La requisitoria ci impegnerà per tutto il mese di novembre».


(LASTAMPA.it)

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