venerdì 5 novembre 2010

IVREA, MORTO DOPO L'INTERVENTO, LA "RIANIMAZIONE" ERA PIENA


E adesso sul caso di Davide Perucchione, morto a 17 anni per una «sospetta embolia polmonare» dopo un intervento chirurgico al femore, pesa un’ombra terribile. Forse il ragazzo si sarebbe potuto salvare, se nelle ore successive all’operazione ci fosse stato un letto disponibile nel reparto di Rianimazione, dove vengono portati i pazienti critici e con gravi problemi respiratori.

Tutti e sette i letti, la notte di mercoledì 27 ottobre, erano occupati da altri malati: così Davide fu portato in Ortopedia, nonostante le sue condizioni fossero già preoccupanti e, come hanno sempre sostenuto i medici, a rischio. E poi, c’è un’altra domanda: se la Rianimazione non era disponibile, perché Davide non è stato trasportarlo d’urgenza dall’ospedale di Ivrea, dove era ricoverato, in un altro centro? Dubbi che tormentano i famigliari del 17enne fin dalle ore successive alla sua morte. Dubbi e domande che solo l’autopsia, prevista questa mattina (verrà eseguita dal medico legale, Roberto Testi), potranno fugare. Ma che restano, impressi e pesanti come macigni, nella mente dei genitori. Per loro, parla Maria Luisa Rossetti, il legale al quale si è appoggiata la famiglia Perucchione. «Più che a quello che è accaduto in sala chirurgica - spiega - è il monitoraggio post operatorio che alimenta le nostre perplessità». Aspetti, questi, su cui anche la Procura intende fare chiarezza: Fabio Prozzo, il chirurgo che l’ha operato, e Stefano Caldera, l’anestesista, sono indagati per omicidio colposo. Solo l’esame autoptico farà chiarezza.

Che il ragazzo fosse un paziente critico lo si era capito subito. E lo dimostra il fatto che, nelle ore successive all’intervento, gli anestesisti lo abbiano costantemente controllato. «Eppure Davide è stato portato, quella sera, nella stanza della Divisione di Ortopedia come fosse un paziente qualunque. Ma non lo era per niente», dice Maria Luisa Rossetti.

Per ripercorrere questa tragedia, però, bisogna tornare a martedì 26 ottobre. Sono le 14,30 quando Davide, dal sabato precedente ricoverato in Ortopedia per la frattura del femore (avvenuta in seguito ad un incidente stradale), entra in sala operatoria. Quando esce sono da poco passate le 19,30. I medici spiegano ai famigliari che nel corso dell’intervento ha perso moltissimo sangue e che, proprio per questo motivo, non è stato possibile sottoporlo alla terapia anticoagulante a base di eparina, un farmaco che viene usato in casi del genere per scongiurare un’embolia. Le sue condizioni destano preoccupazione, tant’è che vengono monitorate per tutta la notte: non a caso, per sette volte, l’anestesista si reca nella stanza del ragazzo per vedere come sta. Alle 5,30, però, Davide inizia ad accusare i primi problemi respiratori. E la situazione precipita. Intorno alle 7,20 il suo cuore cessa di battere. La diagnosi parla di «sospetta embolia polmonare».

Giuliano Perucchione, papà del 17enne, nelle ore successive all’intervento aveva capito che qualcosa non andava, si era insospettito per quel continuo viavai degli anestesisti e aveva chiesto ai medici di intervenire con tempestività. Ma la Rianimazione, dove probabilmente sarebbe stato portato il ragazzo se fosse stata disponibile, quella notte non aveva posti letto liberi: un dettaglio, forse, che potrebbe aver segnato il destino di Davide.


(LASTAMPA.it)

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