mercoledì 24 novembre 2010

UNIVERSITA' IN PIAZZA CONTRO I TAGLI, STUDENTI BLOCCANO CITTA'


TORINO - Quando il tabellone comincia a infilare un ritardo dietro l’altro - Asti, Aosta, Cuneo, Milano, Pinerolo, Bardonecchia - il signor Guido Arone, impiegato, si fionda contro lo striscione retto dagli studenti. A muso duro. «Adesso basta. Qui c’è gente che si è alzata alle cinque del mattino e adesso non può tornare a casa». Un capotreno li osserva annoiato, fissa l’orologio e allarga le braccia. «Finché non se ne vanno non si parte. E chissà quando se ne vanno».

Non dura molto, meno di un’ora, dalle cinque alle sei del pomeriggio, quando la rabbia degli studenti - nel giorno in cui il ministro Gelmini impone una brusca accelerata al ddl sull’università - tracima dentro l’atrio di Porta Nuova. Sono circa cinquecento, partiti in corteo dopo aver occupato Palazzo Nuovo. Si piazzano in testa al binario 9 e bloccano i convogli. Un drappello cerca di intercettare un Frecciarossa in partenza, ma arriva tardi. Gli altri srotolano un enorme striscione e si mettono di traverso.

Non dura molto, ma nell’ora di punta è quel che basta per mandare in tilt le linee ferroviarie. Porta Nuova resta isolata fino alle sei, quando la protesta smobilita e il corteo fa rotta sul palazzo delle facoltà umanistiche. Nessun treno in partenza, nessuno in arrivo. Le Ferrovie corrono ai ripari: organizzano un servizio di navette tra Lingotto e Porta Susa, dirottano i passeggeri da Porta Nuova a Porta Susa con il metrò. Troppo poco. Quando su Torino cala la notte i pendolari contano i danni: una trentina di convogli soppressi, 15 limitazioni di percorso e una ventina con ritardi dai trenta ai novanta minuti. Ce n’è abbastanza perché il gruppo Fs minacci di denunciare gli studenti per interruzione di pubblico servizio.

Loro fanno spallucce. «Siamo indisponibili a trattare con chi ci ruba il futuro». «Bloccheremo la città», cantano in coro mentre abbandonano i binari per raggiungere quelli che sono rimasti sul tetto di Palazzo Nuovo, bloccando traffico e mezzi pubblici anche in centro. L’onda anti-Gelmini deflagra. Dopo l’occupazione di Palazzo Campana tocca al cuore dell’ateneo. Venti tra ricercatori e precari salgono in cima all’edificio di via Sant’Ottavio e calano uno striscione lungo dieci metri: «Riportiamo in alto l’Università». Non scendono nemmeno quando fa buio e l’aria gelida comincia a penetrare sotto i cappotti. Se ne restano accampati: tende, sacchi a pelo e lanterne da campo negli zaini.

Anche nell’atrio la notte corre dentro le tende, con le assemblee indette dal Cua e dagli Studenti indipendenti. La decisione è secca: occupazione a oltranza e blocco delle lezioni. Restano tutti dentro l’edificio, perché all’alba bisognerà organizzare i picchetti, cordoni di fronte agli ingressi per impedire a docenti e personale di entrare, proprio come la scorsa settimana a Palazzo Campana. «Resteremo fino a quando il disegno di legge Gelmini verrà ritirato», avverte Luca Spadon degli Indipendenti. E il disagio di chi vorrebbe andare a lezione? Risposta secca: «È niente in confronto ai disastri che la legge provocherebbe se fosse approvata».

Il tam tam si diffonde via Internet e telefono, scavalca Torino e approda su Roma, Milano, Pisa, Trieste, Palermo, Bologna, dove le università sono state occupate. «Non è più solo un movimento di protesta – dice Simone Baglivo dell’Udu Politecnico –. Da mesi suggeriamo proposte concrete per una vera riforma dell’Università, che però nessuno prende in considerazione. L’unico modo per farci sentire è creare disagio».

Anche al Politecnico la fibrillazione è alta: 350 docenti, tra cui alcuni presidi e vice rettori, firmano un documento contro la riforma Gelmini, e il personale tecnico-amministrativo proclama una giornata di sciopero, domani, per protestare contro il ddl ma anche contro l’ateneo e la gestione dei rapporti con le organizzazioni sindacali.


(LASTAMPA.it)

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