domenica 17 aprile 2011

ECCO I PRIMI 128 PROFUGHI A TORINO, PER LORO DESTINI DIFFERENTI


Da una parte, per 71 di loro, il padiglione Come noi del Sermig e le casette del centro polivalente della protezione civile di Settimo Torinese. Dall'altra, per 57 connazionali, le gabbie del Cie di corso Brunelleschi.

Hanno tutti lo stesso sogno - lasciarsi alle spalle la povertà e costruirsi il futuro, possibilmente in Francia - i ragazzi tunisini approdati ieri a Torino con i pullman scortati dalla polizia. Ma avranno un destino diverso. Quelli sbarcati in Italia prima del 5 aprile hanno ricevuto un permesso di soggiorno e un "titolo di viaggio" che vale come documento di identità, un passaporto provvisorio. Quelli arrivati dal 6 aprile in poi, in tasca i decreti di espulsione, saranno rimpatriati. "Lo spartiacque - spiegano dall'ufficio immigrazione della Questura - lo ha messo il ministero. Noi ci dobbiamo attenere alle disposizioni".

Eppurele storie di liberi e di prigionieri sono simili, così come le speranze. Racconta Tarek, 32 anni, uno dei 18 ragazzi presi in carico dal Sermig all'Arsenale della pace: "Abitavo a Said, un sobborgo di Tunisi. Sono scappato perché lì non c'era nulla, solo miseria. Ben Alì ha lasciato una situazione disastrosa, manca lavoro, la povertà è assoluta. Io vorrei andare in Francia, però non mi dispiacerebbe neppure il Belgio. Non ho parenti da raggiungere, diversamente da molti altri. Non ho vincoli. A casa facevo il giardiniere. Non ho grandi pretese: voglio trovare una occupazione e mantenermi, qualsiasi impiego disponibile andrà bene". Kamel, 24 anni, viene da Kasserine, la cittadina vicino a cui nel febbraio 1943 le truppe italo-tedesche nel febbraio 1943 contrattaccarono gli anglo-americani. Non sono stati giorni facili, quelli appena messi alle spalle. La stanchezza è scritta in faccia. Le incognite, legate alle decisioni del governo francese e a notizie positive via via smentite, raffreddano l'ottimismo, non la volontà di pensarsi altrove. "Sono rimasto 13 giorni a Lampedusa, prima che la polizia mi spostasse con gli altri a Santa Maria Capua Vetere. Dormivo su una vecchia barca, non c'erano vestiti di ricambio, non avevo da mangiare".

Adesso, in mensa, i volontari di Ernesto Olivero servono riso, verdure, hambuger rigorosamente privi di carne di maiale e frutta. Ci si può fare la doccia. E' possibile uscire per incontrare i connazionali appoggiati alla moschea, basta che si rientri per le 21.30. L'unico minorenne del gruppo, 17 anni, sta con un familiare e si sposta assieme a lui. Non verranno separati, è stato promesso. "La cosa di cui hanno più paura - spiega Rosanna, una delle persone che si sta occupando di loro - è che siano privati della libertà. Abbiamo spiegato loro che non succederà. Alcuni sono usciti per incontrare i connazionali che da una settimana stanno in Moschea, altri per andare dal barbiere e tagliarsi barba e capelli". In serata è atteso il console del loro Paese. "Vogliamo capire - dice Tarek - se c'è possibilità di avere un passaporto tunisino e se la Francia ci farà entrare o meno, con i documenti dati dalle autorità italiane". Altrimenti i più ci proveranno comunque, a valicare il confine. "Da noi ne sono entrati in 53 - fa il punto alle nove di sera il maresciallo Ignazio Schintu, il sottufficiale della Croce rossa che coordina il centro di Settimo - e 18 sono già usciti e ripartiti, dopo la cena e la distribuzione di abiti puliti. Uno mi ha detto che gli sarebbe piaciuto spostarsi in Sardegna. Tutti sono stanchi morti, per quello che hanno passato nelle ultime settimane, per il lungo viaggio dalla Campania".


Repubblica

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