domenica 10 aprile 2011

TUNISINI LIBERATI IERI, "IL NOSTRO SOGNO E' LA FRANCIA"


TORINO - Ore 8, dal Cie di corso Brunelleschi partono i primi tunisini, a bordo dei mini-bus della polizia. Destinazione, l’Ufficio stranieri della questura, corso Verona. Alle 14 sono tutti fuori, liberi, con in tasca il permesso di soggiorno temporaneo. Ottanta uomini, età media tra i 25 e i 30 anni. Arrivati dal Maghreb in Italia a bordo dei soliti barconi, tra febbraio e fine marzo. Alcuni hanno passato oltre due mesi di detenzione, ieri i primi passi da uomini liberi qui a Torino, dopo le drammatiche esperienze vissute nei centri di accoglienza di Lampedusa e della Sicilia.

L’imam Ibrahim Mohammed e suor Lidia, 21 anni trascorsi in Tunisia, si abbracciano; ecco, per una volta almeno, cristiani e musulmani uniti, e visibilmente felici. Dice Ibrahim che «i ragazzi sono stati accolti dalla comunità islamica di Torino e dalla chiesa cattolica, ci siamo divisi i compiti, in base alle esigenze. Una grande prova di solidarietà». Poi le associazioni laiche e ancora religiose, il Sermig, Libera, Terra del fuoco, altre ancora.

Il tempo di completare l’iter burocratico, meno ostico e complicato del previsto, e poi fuori, nel sole, i vestiti e i pochi averi nelle borse di plastica gialline e trasparenti, che sembrano esplodere tanto sono piene. Ibrahim, tunisino da 25 anni in Italia, imam in una moschea torinese, li conosce uno a uno: «Hanno fatto la rivoluzione, fuggono dal Paese perché prima la dittatura ha tolto loro tutto, anche la speranza, e la guerra di Libia ha aggravato ancora la situazione. Spero che la “rivoluzione del gelsomino” arrivi preso anche qui». In Italia? «Sì, anche in Italia. Dalla Tunisia all’Egitto, poi in Libia, ora in Siria e nel Bahrein. Questi ragazzi hanno lottato per la loro dignità, non solo per il pane». Da Tunisi a Torino. Che succederà? «Tra loro non ci sono né delinquenti né collaborazionisti del passato regime. Sono rimasti a Lampedusa, prigionieri del loro passato. Noi non li vogliamo tra noi». E Oliviero Alotto di «Terra del fuoco»: «Una piccola parte dei rifugiati starà con noi, nella comunità “Il Dado” a Settimo. Giovani equilibrati, consapevoli che non tutto è stato risolto, per molti i problemi iniziano ora».

Il permesso di soggiorno potranno ritirarlo mercoledì o giovedì presentandosi in questura con il documento provvisorio rilasciato ieri. Poi, potranno tentare di raggiungere la Francia, dove vogliono emigrare in larga maggioranza, ben sapendo che le autorità d’Oltralpe hanno dato ordine alla Gendarmerie di ricacciarli indietro. Il «pass» italiano viene sostanzialmente ritenuto inutile. In parte, i tunisini sperano nel riconoscimento dello status di rifugiati politici, il permesso di soggiorno servirà per iniziare l’iter, con l’aiuto dell’ambasciata tunisina che dovrà consegnare i passaporti e gli altri documenti necessari.

È stata una mattinata intensa, con qualche aspetto poco piacevole, quando i rifugiati, ognuno con un numero appiccicato sulla maglietta, sono scesi dai bus a uno a uno, scortati dalla polizia. Il dirigente dell’Ufficio stranieri Rosanna Lavezzaro ha cercato di evitare disagi inutili, semplificando al massimo le procedure. L’imam dice che «molti cercheranno di raggiungere la Francia...». Come? «Non attraverso le frontiere ufficiali, di certo». Almeno la metà è pronta a ripartire. Appena liberi, la prima domanda. Affannosa. «Dov’è la stazione? Lontana?».


La Stampa

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