mercoledì 13 aprile 2011

MANDATI IN PIEMONTE 1800 PROFUGHI MA NON C'E' NESSUNA TENDOPOLI


TORINO - Non ci saranno tendopoli, ma ciascuna provincia del Piemonte sarà chiamata a fare la sua parte per ospitare i 1.800, forse 1.900 migranti arrivati in Italia dalla Tunisia e dalla Libia nelle ultime settimane. Oggi un decreto della Protezione civile nazionale stabilirà la ripartizione regione per regione dei 25 mila immigrati partiti dal Nord Africa. Nel decreto saranno indicati i parametri di suddivisione su base regionale - al massimo un migrante ogni mille residenti - e la copertura economica.

Il presidente della Regione Roberto Cota ha continuato a ribadire che l’impegno della Regione si sarebbe limitato all’accoglienza dei profughi, ma oggi il capo della Protezione civile nazione e commissario straordinario per l’emergenza profughi Franco Gabrielli imporrà al Piemonte - come a tutte le altre regioni - di gestire anche i tunisini. E lo farà anche per conto del ministro dell’Interno Maroni.

Toccherà dunque alla giunta Cota convocare un tavolo istituzionale con le province - ma anche con le associazioni no profit, come chiesto ieri dal vescovo di Torino Cesare Nosiglia - per spalmare in modo equo sul territorio gli extracomunitari sbarcati sulle coste italiane. In quel vertice si dovrà ragionare sui criteri di suddivisione. Se il parametro adottato nel decreto nazionale verrà scelto anche in Piemonte, allora in provincia di Torino dovrebbero arrivare circa 900 persone.

Chi? Profughi e tunisini, che poi dovranno seguire percorsi diversi. I primi potranno presentare la domanda per ottenere lo status di rifugiati. Per gli altri la soluzione è il permesso di soggiorno temporaneo. È presto per capire come verranno distribuiti, ma nell’incontro di ieri tra Regione e vertici ecclesiali, la Chiesa ha ribadito la disponibilità all’accoglienza, ma ha chiesto di potersi occupare in prima istanza dei profughi. Il motivo? L’esperienza maturata in questi tre anni dalla Pastorale migranti di don Fredo Olivero nei progetti di inserimento dei rifugiati. «Se possiamo dare una mano ha più senso farlo laddove possiamo sfruttare le nostre competenze», spiega il responsabile della Caritas regionale Pierluigi Dovis.

La posizione delle diocesi si spiega anche con una certa prudenza nel valutare l’appello lanciato dai vescovi a parrocchie e fedeli. Nel fine settimana la lettera della Conferenza episcopale piemontese, in cui si chiedeva a chiunque avesse disponibilità di posti di farsi avanti, è stata diffusa tra i fedeli. È presto per tirare le somme, ma finora la Caritas non ha ricevuto molti segnali. Ecco perché, almeno per il momento, si è chiesto alla Regione di potersi concentrare sui richiedenti asilo.

La Chiesa, inoltre, ha chiesto alla Regione di costruire e guidare un coordinamento per far fronte all’arrivo dei migranti. «Noi mettiamo a disposizione tutto quello che possiamo», ha ribadito Dovis, «ma la responsabilità deve essere condivisa. Non possiamo sostenere lo sforzo da soli. E l’ottica deve essere quella del puzzle».

Del puzzle chiede di far parte anche l’Arci, che in questi giorni sta assistendo nei suoi circoli torinesi un’ottantina di migranti: la metà usciti sabato dal Cie di Torino, gli altri arrivati da Lampedusa e da Crotone. Sono sistemati alla meno peggio tra le Officine Corsare e il Caffè Basaglia.


La Stampa

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