domenica 17 aprile 2011

DOPO SENTENZA THYSSEN, "ANCHE I MANAGER SANNO DI DOVER PAGARE"


TORINO - "Non avevo mai chiesto una condanna a 16 anni, l’idea del carcere non mi ha mai entusiasmato, anche se ricorrervi può essere necessari".

Dottor Guariniello, lei si è distinto nel colpire il portafogli degli imputati e nel suscitare più prevenzione di infortuni e reati. Nel caso ThyssenKrupp, la prospettiva del carcere è diventata prioritaria subito?
«Non subito, ma andiamo per priorità. In precedenza non avevo mai sconfinato nei profili dolosi dei “miei” reati. Penso che la sentenza influirà sui ragionamenti dei manager nei consigli di amministrazione. Immagino che dicano: “Non si scherza più, si rischia davvero di andare in carcere”. E che si dicano di fare più attenzione alla sicurezza e alla salute dei lavoratori. I riverberi della sentenza sui futuri infortuni mi interessano molto».

Ha già lanciato un messaggio forte e chiaro, il prossimo?
«Subito dopo il rogo del 6 dicembre 2007 aprimmo un fascicolo per omicidio colposo. Ci fossimo regolati come in passato e in tante procure ancora oggi - delegando a consulenti tecnici l’analisi degli impianti e fermandoci lì -, non avremmo scoperto nulla e all’ingegner Espenhahn avremmo continuato a contestare solo l’omicidio colposo».

Ci porti dove vuole arrivare.
«In questa indagine abbiamo fatto leva sui fattori di rapidità e pervasività, utilizzando ogni tecnologia utile. Dopo il sequestro della linea della tragedia, siamo andati subito nella sede centrale di Terni, con la Guardia di Finanza, bravissima, e i tecnici informatici. Abbiamo perquisito i computer, sequestrato file e posta elettronica. E nella valigetta di Espenhahn abbiamo trovato quel documento in lingua tedesca rivelatosi fondamentale per capire come intendeva muoversi la Tk italiana».

E siete passati a reati dolosi.
«Proprio così. Lo scenario normale delle inchieste sulle vittime del lavoro prevede solo il sopralluogo. Dobbiamo invece riferirci all’organizzazione del lavoro che necessita di continue e rapide comunicazioni: sequestrare la posta elettronica, nei casi ove occorra, può portare come per la Thyssen a scoprire tanto».

Pensando a lei e agli spauracchi che provoca, certi manager d’ora in poi useranno solo i pizzini per comunicare.
«Le e-mail fra i manager Tk si sono rivelate utilissime a farci capire che si era scelto di risparmiare sulla sicurezza dei lavoratori di un’acciaieria. Abbiamo semplicemente adottato le tecniche di indagine spese contro la criminalità. Solo in questo senso ci può stare un punto di contatto fra certi scenari».

Quali altri «riverberi» positivi vede?
«Con l’attuale vincolo per i pm di passare ad altro pool specialistico dopo 10 anni, a dicembre perderò 7 dei miei sostituti. Mercoledì sono stato al Quirinale per una relazione sulla sicurezza e ho portato un documento su questa esigenza di lavoro efficace».

Parla di impegni di lavoro, a dicembre, qui a Torino. Significa che non intende più concorrere per il posto di procuratore capo di Genova?
«Non ho sciolto la riserva. Molto dipenderà dal processo Eternit che non posso abbandonare. E poi il mio principale concorrente è di Genova, è giusto che il posto vada a lui».

Cos’altro ancora conserverà con piacere fra i suoi ricordi di questo processo?
«La straordinaria partecipazione popolare. Anche fra i giudici. E’ stata una grande sorpresa. Non ero mai stato in Corte d’assise ed ero prevenuto nei confronti dei giudici togati. Mi sono ricreduto. Portano la linfa del buonsenso in questa nostra magistratura».


La Stampa

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