venerdì 8 aprile 2011

IFEANY, L'OPERAIO FANTASMA CHE NON PUO' TORNARE A CASA


Prima che sia troppo tardi, Ifeany, 35 anni, vuole tornare a casa, in Nigeria. Per otto anni ha lavorato come operaio in una piccola fabbrica metalmeccanica tra Grugliasco e Rivoli, una ventina di operai, in parte italiani in parte stranieri. A ogni nuovo "flusso" previsto dalle leggi italiane ha sperato di essere messo in regola, e ogni volta è rimasto deluso. E' successo per quattro, successive, "ondate": prima una promessa, poi un 'mi dispiace, sarà per la prossima'. "Qualche volta - racconta - il padrone mi lasciava a casa per paura di avere dei guai, ma solo per pochi giorni. Io non volevo dare problemi, non ho mai voluto denunciarlo. In Nigeria ho una famiglia, tutti i soldi che potevo li ho sempre mandati a loro: duecento, trecento euro, il resto mi serviva per vivere". Ora Ifeany non crede più di poter diventare un lavoratore regolare, ma non vuole essere un clandestino. "Non ce l'ho fatta, torno in Nigeria, là ci sono mia madre e mia moglie, farò qualcosa laggiù.

Ma nessuno mi aiuta neppure ad andarmene". Mancano 500 euro, il prezzo di un volo sola andata da Milano a Benin City. Lui non li ha, l'associazione che l'ha seguito in questi anni, Tampep, nemmeno, e ora lancia una colletta. Ma, soprattutto, solleva un caso: "Mentre migliaia di uomini e di donne premono per aggrapparsi alle coste italiane un uomo che vorrebbe andare nella direzione opposta rischia di trasformarsi definitivamente in un clandestino, e dunque di commettere un reato, cioè quello che nella sua vita si è sempre rifiutato di fare". Per lui c'è già un decreto di espulsione, e, paradossalmente, proprio questo gli impedisce di rientrare nei programmi di Nirva, una rete sostenuta dal ministero dell'Interno che dovrebbe aiutare economicamente chi vuole rientrare di sua volontà al paese di origine. "Io mi fidavo del mio datore di lavoro - dice ancora Ifeany - ero sicuro che appena poteva mi avrebbe messo in regola e non volevo fargli avere grane, né a lui né ai mie connazionali che lavoravano con me e dividevano la stessa casa. E ora non voglio andare davanti a un giudice per oppormi al decreto di espulsione. Sono stanco, voglio andarmene".

Il lavoro oggi non c'è' più, Ifeany esce poco di casa, teme di essere fermato, è sfiduciato e depresso. "Noi lo chiamiamo per non farlo sentire isolato, ma per lui è terribile sapere di poter essere arrestato in qualunque momento, senza avere fatto nulla, e di essere in Italia in modo irregolare anche se ha sempre lavorato onestamente - dice Paradiso - C'è qualcosa che non funziona se una legge ti obbliga ad andartene quando non hai un lavoro regolare, e allo stesso tempo non ti aiuta a farlo. In questi giorni su tutti i tg la politica litiga sui profughi, e molti impugnano la parola 'rimpatrio' come una clava. Poi, però, chi vuole davvero tornare al suo paese non riesce a farlo e rischia di diventare un ospite in più nei Cie che scoppiano". Le volontarie di Tampep, che seguono il suo caso da anni, ora chiedono a chi può e vuole darlo un contributo per pagare quel volo (www. tampepitalia. it, 011/859821). Ma, anche per loro, è una sconfitta.


Repubblica

0 commenti:

Posta un commento