sabato 30 aprile 2011

UCCISE DOPO LA PARTITA, ADESSO SCRIVE AI FIGLI DELLA VITTIMA


TORINO - Trent’anni di carcere, in pratica l’ergastolo se il rito abbreviato scelto dall’imputato non riducesse la pena di un terzo. È la condanna che rischia Rocco Acrì, 61 anni, ex titolare di locali pubblici. La sera del 24 maggio dell’anno scorso uccise con una coltellata Edmondo Bellan, 62 anni, anche lui ex proprietario di bar. Acrì è juventino,Bellan era interista. I due avevano appena terminato di vedere Inter- Bayern Monaco al Blu Sky di corso Lecce. Partita vinta dai nerazzurri.Grande euforia, alcool in eccesso e gli animi si sono accesi.Troppo. Assurdo, morire di Champions. Incredibile. Eppure questa è stata la scintilla.Edire che entrambe le famiglie, dell’omicida e della vittima, hanno descritto i loro cari come persone tifose, ma non fanatiche. Eppure.

Il pubblico ministero Marco Sanini, nella sua requisitoria di ieri, ha chiesto la condanna di Acrì con due aggravanti: quella delmezzo insidioso (il coltello a serramanico estratto da Acrì) e quello dei futilimotivi (i commenti calcistici). Nessun riconoscimento delle generiche. Su Acrì pesano precedenti penali che seppur antichi, risalgono agli anni Ottanta, non sono bagatellari: estorsione e detenzione abusiva di armi. La pubblica accusa ha anche biasimato il comportamento processuale di Acrì che mai ha tentato di risarcire i familiari diBellan (i figli e la convivente difesi dall’avvocato Paolo Davico Bonino).

Ieri è arrivata una lettera ai figli, è vero. «Ho riflettuto per tanto tempo se scrivervi o meno nel timore che questo potesse provocarvi nuovo dolore » ha scritto Acrì. «Spesso immagino di poter tornare indietro nel tempo e di evitare che avvenga questa tragedia, che le nostre famiglie possano continuare a vivere serene come prima. Ma non posso. L’unica cosa che mi è permessa è fare silenzio».

Una lettera giudicata «tardiva » dalla pubblica accusa, che ha poi contestato la ricostruzione dei fatti raccontata da Acrì. Di quella sera si sa per certo che scoppiò un litigio sull’Inter, a fine partita, tra Bellan e altri tre avventori del locale. Bellan aveva bevuto. Aggredì il titolare del bar, Emanuele Romeo. Allora intervenne anche Rocco Acrì in sua difesa. Bellan gli sferrò un pugno in faccia. Romeo sbattè tutti fuori. Fece uscire Bella e Acrì da due uscite differenti, una su corso Lecce e l’altra su viaNicolaFabrizi. Èqui che le versioni divergono.

Acrì ha sempre raccontato che fuori venne raggiunto da Bellan che gesticolava e lo insultava. Vedendoselo venire incontro, si prese paura ed estrasse il coltello a serramanico che teneva in tasca per quando andava in campagna. Ha dichiarato di aver dato dei fendenti più che altro per allontanare l’aggressore. Bellan rimane ferito al braccio e Acrì dichiara di essersi allontanato pensando a una ferita superficiale. Invece, purtroppo, il coltello penetra il petto e colpisce al cuore Bellan, che muore soccorso tra i presenti. Acrì rientra a casa, non racconta nulla alla moglie e va a dormire. Il giorno dopo viene arrestato. Consegna il coltello e tutto quanto.

Cosa non torna per il pubblico ministero? Che Acrì dice di essere stato raggiunto da Bellan, ma le macchie di sangue racconterebbero un’altra storia. L’aggressione avviene vicino alla porta da cui è uscito Bellan. È dunque Acrì a raggiungerlo, armato di coltello, e non il contrario. Alla requisitoria del pm replicheranno il 15 giugno gli avvocati che difendono Acrì: AntonioRossomando eMarcoModa.

Saranno arringhe difensive che punteranno a dimostrare che la versione di Acrì coincide con le prove fisiche e testimoniali raccolte e che il comportamento del 61enne dimostra come non fosse sua intenzione uccidere Bellan. Sarà il giudice SandraCasacci a decidere quale versione corrisponde alla realtà e a emettere la sentenza.


La Stampa

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